Domanda:
ma nella letteratura queli poeti sono surrealisti????
flyaway
2007-05-29 06:43:07 UTC
ma nella letteratura queli poeti sono surrealisti????
Quattro risposte:
anonymous
2007-05-29 07:25:06 UTC
Che io conosca, di sicuro Mallarmè, Breton, Prevert...
Sara P
2007-05-29 06:45:56 UTC
vorrei saperlo =) mi serve per l'esame

oggi ho scoperto cose nuove.... io devo fare la tesina sul surrealismo, collegherò tutto al sogno e alla psicanalisi, quindi puoi collegare il fatto che si a i surrealisti che italo svevo si rifanno alle teorie di Freud! =)
anonymous
2007-05-29 11:00:40 UTC
Ciao,

Dal “MANIFESTO DEL SURREALISMO”:

Surrealismo: Automatismo psichico puro per mezzo del quale ci si propone di esprimere, o verbalmente, o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza d'ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d'ogni preoccupazione estetica o morale”

“Il surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita”

“Fatevi portare di che scrivere, dopo esservi sistemato nel luogo che vi sembra più favorevole alla concentrazione del vostro spirito in sé stesso. Ponetevi nello stato più passivo, o ricettivo, che potete [...] Scrivete rapidamente senza un soggetto prestabilito, tanto in fretta da non trattenervi, da non avere la tentazione di rileggere. La prima frase verrà da sola”

“Ecco dei personaggi dai modi un po' disparati [...] Così provvisti di un piccolo numero di caratteristiche fisiche e morali, quegli esseri che in verità vi devono tanto poco non si scosteranno più da una certa linea di condotta, della quale non dovete occuparvi. Ne risulterà un intreccio più o meno sapiente in apparenza, a giustificare punto per punto un finale commovente o rassicurante di cui vi disinteressate



Il surrealismo è un movimento intellettuale nato negli anni Venti a Parigi che ha coinvolto arti visive, letteratura e cinema. La principale caratteristica è la critica alla razionalità cosciente per la supremazia delle potenzialità immaginative dell'inconscio al fine di uno stato conoscitivo che va oltre alla realtà (la sur-realtà appunto).

La fede surrealista si manifestò spesso come ribellione alle convenzioni culturali e sociali, concepita come una trasformazione totale della vita, attraverso la libertà di costumi, la poesia e l'amore. Spesso, molti esponenti del surrealismo sposarono la causa del comunismo e dell'anarchismo, per contribuire attivamente il cambiamento politico e sociale che avrebbe poi portato ad una partecipazione più generale alla surrealtà.

Il surrealismo si pone, quindi, il problema di come realizzare la liberazione dell'uomo. La via dei surrealisti è quella della valorizzazione delle componenti della personalità che le strettoie della civiltà e delle istituzioni sociali spengono. Ciò significa privilegiare nella produzione tutto il mondo dell'inconscio: la dimensione onirica, il groviglio oscuro delle pulsioni e frustrazioni, gli stati allucinatori. Ciò significava "risolvere le condizioni, finora contraddittorie, di sogno e di realtà in una realtà assoluta, in una surrealtà" (Tzara).

Il movimento ebbe come principale teorico il poeta André Breton, che canalizzò la vitalità distruttiva del dadaismo (movimento culturale nato a Zurigo durante la Prima Guerra Mondiale sviluppatosi tra il 1916 e il 1920; concentrava la sua politica anti bellica attraverso un rifiuto degli standard artistici con delle opere culturali contro l'arte stessa, proponendo il rifiuto della ragione e della logica ed enfatizzando la stravaganza, la derisione e l'umorismo); sempre per quanto concerne la letteratura altri esponenti surrealisti sono: Louis Aragon, Antonin Artaud, Georges Bataille, René Char, Jean Cocteau, René Crevel, Renè Daumal, Robert Desnos, Paul Éluard, Benjamin Peret, Jacques Prévert, Raymond Queneau, Pierre Reverdy, Philippe Soupault, 'Tristan Tzara'.





- André Breton nasce a Tinchebray (Francia), il 18 febbraio 1898, in una famiglia di modeste dimensioni; nel 1900 la famiglia si trasferisce a Pantin e André frequenta l'Istituto religioso Sainte Elisabeth fino al 1902, anno in cui entra a far parte della scuola comunale di Pantin dove si dimostra un ottimo allievo. A nove anni si iscrive al College Chaptal di Parigi come esterno e continua ad ottenere buoni risultati soprattutto in tedesco. Nasce in questi anni il suo amore per la poesia e sulla rivista della scuola "Vers l'idéal" pubblica, nel 1912, due sue poesie che firmerà con l'anagramma René Dobrant. Scopre in questi anni poeti come Baudelaire, Mallarmé e Huysmans e si appassiona alle arti figurative dimostrando di apprezzare Gustave Moreau, Bonnard, Vuillard e Signac, mentre si dimostrerà poco convinto nei riguardi del cubismo e invece attratto dall' arte primitiva; e nascono le prime idee politiche che sono già improntate all'anarchismo. Nel 1913 si iscrive alla facoltà di Medicina e continua a comporre versi, alcuni dei quali saranno pubblicati sulla rivista "La Phalange", e nello stesso anno si mette in contatto con Paul Valéry al quale sottopone le sue composizioni per avere un giudizio critico. Nel 1915 viene chiamato al servizio militare e intanto continua la lettura di Rimbaud e scopre Jarry. Scrive in quell'anno la pièce Décembre che invia ad Apollinaire. Nel 1916, di stanza a Nantes, scrive il suo primo poema in prosa, Âge che risente fortemente dell'influsso di Rimbaud. Conosce Jacques Vaché e stringe amicizia con Apollinaire. Nel 1917 scrive su "Mercure de France", conosce Philippe Soupault e nello stesso anno fa l'incontro di Louis Aragon cominciando così ad essere conosciuto nell'ambiente culturale parigino. Nel 1918, grazie ad Aragon, scopre l'opera di Isidore Ducasse conosciuto con lo pseudonimo di Conte di Lautréamont e le poesie che scriverà mostrano il desiderio di rompere con la metrica classica. Nel 1919 si mette in contato con Tristan Tzara al quale manifesta il suo entusiasmo per il Manifesto Dada 3. Nello stesso anno fonda la rivista "Littérature" con Aragon e Soupault e si mette in contatto con Paul Éluard. Esce intanto, presso Sans Pareil, Mont de pieté e sempre nel '19 supera l'esame e diventa medico ausiliario. Alla fine dell'anno, conosciuto Francis Picabia, ne diventa amico. Quando nel 1920 Tristan Tzara arriva a Parigi, Breton e i suoi amici aderiscono con entusiasmo al dadaismo. Lascia gli studi di medicina e inizia a lavorare a "La nouvelle revue française" per Gaston Gallimard e pubblica, con Sans Pareil, Champs magnetiques, ma a luglio, già stanco del dadaismo che considera monotono e inconcludente, abbandona la collaborazione alla Nouvelle Revue e il dadaismo. Nel 1921 accetta un lavoro di bibliotecario offertogli da Jacques Doucet al quale consiglia l'acquisto de Les demoiselles d'Avignon di Picasso che si rivelerà l'opera cardine del secolo. Il 15 settembre sposa Simone Kahn e durante il viaggio di nozze conosce Sigmund Freud a Vienna.

Morirà a Parigi, il 28 settembre 1966.

Le più importanti opere edite in Italia sono Nadja scritta nel 1928; il Primo manifesto del surrealismo scritto nel 1924; il surrealismo e la pittura scritto nel 1928; alcuni Manifesti del surrealismo scritti nel 1929; con Paul Eluard scrive L'immacolata concezione nel 1930; I vasi comunicanti del 1932; L' amour fou del 1937; l’Antologia dello humour nero del 1940; e l’Arcano 17 del 1944



- Louis Aragon nasce a Parigi, il 3 ottobre 1897, dopo aver preso parte al dadaismo dal 1919 al 1924, nel 1924 fu uno dei fondatori del movimento surrealista insieme ad André Breton e Philippe Soupault; aderì, insieme ad alcuni membri del gruppo surrealista, al Partito comunista francese, al quale rimase fedele fino alla morte (gli dedicò alcune poesie, tra le quali una a Maurice Thorez e l'Ode au guépeou), pur restando critico nei confronti dell'URSS, in particolare a partire dagli anni '50. La sua poesia fu ampiamente ispirata, dopo gli anni '40, all'amore per sua moglie, Elsa Triolet (1896-1970), di origini russe, anch'ella poetessa, da lui incontrata nel 1928 e sposata nel 1939, sorella della Lilya Brik amata da Majakovskij. La sua opera riporta inoltre, in filigrana, la segreta ferita di non essere stato riconosciuto da suo padre, Louis Andrieux, diplomatico e prefetto, di trent'anni più anziano di sua madre. Quest'ultima, per preservare l'onore della sua famiglia e del suo amante, fece passare Aragon per il figlio adottivo di sua madre e Andrieux per il suo padrino. Egli evocò quello che fu il dramma segreto della sua vita in una piccola raccolta di poesie intitolato Domaine Privé. Fu inoltre, con Robert Desnos, Paul Éluard, Jean Prévost, Jean-Pierre Rosnay e alcuni altri, tra i poeti che si scherarono risolutamente, durante la Seconda Guerra mondiale, a favore della resistenza contro il nazismo tedesco. Fu questo l'oggetto di un'altra profonda ferita: la rottura con il suo amico Pierre Drieu La Rochelle che, dopo aver "esitato tra comunismo e fascismo" (cfr Une femme à sa fenêtre), si rivolse verso il nazismo: una sorta di suicidio, che lo spinse a darsi per davvero la morte alla liberazione della Francia. Tra questi due geni esistono alcune "opere incrociate": Gilles e Aurélien. Aragon e Triolet collaborarono alla stampa francese di sinistra prima e durante la Seconda guerra mondiale, agendo in clandestinità durante l'occupazione nazista. Durante l'occupazione tedesca della Francia nella Seconda guerra mondiale, scrisse per la casa editrice clandestina Les Éditions de Minuit. Una famosa poesia di Aragon è L'affiche rouge (Il manifesto rosso), nella quale omaggiò gli stranieri che morirono combattendo per la Francia. Ciò fu fatto in risposta alla propaganda nazista soprannominata «L'Affiche Rouge», che mirava a convincere il popolo francese che il movimento di resistenza era composto da stranieri, principalmente ebrei, che facevano gli interessi della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica. Dopo la morte di sua moglie nel 1970, Aragon ostentò le sue preferenze omosessuali. Morì il 24 dicembre 1982, a Parigi, vegliato dal suo amico Jean Ristat. Fu inumato nel parco del Moulin de Villeneuve, sua proprietà a Saint-Arnoult-en-Yvelines, al fianco della sua compagna Elsa Triolet.

Firmò un'opera poetica plurale, nella quale la prosa rivaleggia con la poesia a forma fissa, che egli rinnovò. La sua opera romanzesca sposa il contorno della produzione del suo secolo (che egli in parte inventa): romanzo surrealista, realista, poi nouveau roman. Tante sue poesie sono state messe in musica da autori famosi quali Jean Ferrat, Léo Ferré, Serge Reggiani. Alcune, tradotte in italiano, sono state cantate anche da autori italiani. Aimer à perdre la raison è forse una delle poesie tradotte in musica che ha avuto maggior successo.

Romanzi e racconti : Anicet ou le Panorama del 1921; Les Aventures de Télémaque del 1922; Le Libertinage del 1924; Le Paysan de Paris del 1926; Le Con d'Irène del 1927; Les Cloches de Bâle del 1934; Les Beaux Quartiers del 1936 con cui vinse il Premio Renaudot; Les Voyageurs de l'Impériale del 1942; Aurélien del 1944 ; la Servitude et Grandeur des Français. Scènes des années terribles del 1945; Les Communistes scritto in sei volumi tra il 1949 e il 1951 e riscritto nel 1966-1967; La Semaine Sainte del 1958; La Mise à mort del 1965; le Blanche ou l'oubli del 1967; Henri Matisse del 1971; il Théâtre Roman del 1974; Le Mentir-vrai del 1980; La Défense de l'infini del 1986; Les Aventures de Jean-Foutre La Bite del 1986.

I saggi da lui scritti sono : Une vague de rêves del 1924; Traité du style del 1928; e Pour un réalisme socialiste del 1935.



- Antoine Marie Joseph Artaud nacque a Marsiglia il 4 Settembre 1896, sua madre partorì molti figli, ma solo un fratello ed una sorella sopravvissero all'infanzia. All'età di quattro anni, Antonin soffrì un attacco grave di meningite, tale virus gli diede un temperamento irritabile lungo l'adolescenza, patì anche di nevralgia, balbuzie ed episodi di depressione grave. Fra il 1905 e il 1913 muore la sorella Germaine a causa delle percosse della governante; egli andrà spesso a Smirne dalla nonna materna Mariette Napals, che morirà nel 1910. Antonin Artaud fonda una rivista con degli amici sotto lo pseudonimo di Louis des Attides a Marsiglia, città dove studia, disegna, dipinge e soprattutto legge. I genitori gli prepararono una lunga serie di ricoveri in sanatorio che furono prolungati e costosi, ed ebbero la durata di cinque anni, con una pausa di due mesi, Giugno e Luglio 1916, in cui egli si arruolò nell'esercito da cui però fu scartato per episodi (autoindotti) di sonnambulismo. Durante i periodi di "riposo curativo" nel sanatorio lesse Rimbaud, Poe, Lautreamont, Nietzsche, Gerard de Nerval e Baudelaire. Nel Maggio 1919 il direttore del sanatorio, dr. Dardel, gli prescrisse dell'oppio, facendolo precipitare in una dipendenza a vita a quella e altre droghe. Nel marzo del 1920 si trasferì a Parigi e fece parte del movimento surrealista, scrivendo il proprio “Manifesto per un Teatro Abortivo” e nei tre anni seguenti pubblica su svariate riviste fra cui "Demain" fondata dal dottor Toulouse, di cui è ospite. Recita in numerosi spettacoli teatrali ed inizia la relazione con Genica Athanasiou. I forti dolori di origine nervosa lo portano sempre più spesso ad usare droghe. Dopo la morte del padre, nel 1924 approda al mondo del cinema. Pubblica la Correspondance avec Jacques Rivieresu "La Nouvelle Revue Francaise". Dirige il terzo numero di "La Revolution surrealiste". Artaud pubblica L`Ombilic des Limbes, Pese-Nerfs ed altri testi surrealisti. Nel Novembre del 1926 viene espulso dal gruppo surrealista. Ed entro il 1930 fonda il Teatro Alfred Jarry, finisce la relazione con la Athanasiou e scrive L`Art et la Morte alcune sceneggiature fra cui La Coquille et le Clergyman, portata sullo schermo da G. Dulac. Lavora ancora per il cinema e nel '30; conclude l'avventura del Teatro Alfred Jarry.

Tra il 1931 e il ‘33 traduce liberamente Le Moine da Lewis e scrive i testi che andranno a formare Le Theatre et son Double, si presenta spesso al sanatorio per essere disintossicato e fa frequenti riprese cinematografiche. Nel '31 assiste ad uno spettacolo di danze balinesi all'Exposition coloniale di Parigi ed apre i primi contatti coi membri del "Grand Jeu" e collabora con Edgar Varese per la piece operistica incompiuta Il n'y a plus firmament.

Fra il 1934-35 pubblica Heliogabale ou l`Anarchiste couronné e progetta di mettere in scena un adattamento di Atreo Tieste di Seneca intitolato Le supplice de Tantale andato perduto. Scrive e mette in scena i Cenci, tragedia in quattro atti e dieci quadri che fallisce radicalmente; quindi progetta un viaggio in Messico e inizia un'opera incompiuta Vie et mort de Satan le feu.

Il 10 gennaio del 1936 parte per il Messico, prima però fa scalo all'Avana, dove uno stregone gli dona uno spadino a cui attribuisce poteri magici. In Messico si incontra con Luis Cardoza y Argon e tra febbraio ed agosto tiene conferenze sul surrealismo, sulla cultura occidentale, sul teatro all'Università di Città del Messico e scrive articoli che verranno tradotti in spagnolo nel "Nacional". Alla fine di Agosto parte per la Sierra Tarahumara dove rimane un mese, iniziandosi al rito del peyote. A novembre ritorna in Francia dove corregge le bozze di Le Theatre et son Double.

Nel 1937 senza denaro viene ospitato dagli amici, e si interessa sempre di più all'astrologia. Si reca quindi a Bruxelles per conoscere i genitori di Cecile Schramme con cui dovrebbe sposarsi e qui tiene una conferenza scandalosa che provoca la rottura del fidanzamento con la ragazza. Inoltre scrive Les Nouvelles Revelations de l`Etre. Verso il 10 agosto parte per l'Irlanda per restituire un bastone che dice essere appartenuto a San Patrizio, da Dublino invia tuttavia lettere e sortilegi in uno stato mistico-delirante. Viene poi arrestato in seguito ad un alterco con la polizia, è imprigionato e quindi rimpatriato. Appena giunto in Francia, il 30 Settembre, venne arrestato, bloccato con una camicia di forza e internato in diverse cliniche, dove sperimentò angoscia e fame, quindi gli fecero cinquantuno elettroshock che gli provocarono diverse cadute in coma. Nel dicembre dello stesso anno la madre lo rintraccia nella clinica di Sotteville-les-Rouen.

Tra il 1938 ed il 1942 venne trasferito all'ospedale Sainte-Anne, a Parigi, è visitato da molti medici fra cui Lacan; le diagnosi parlano di "sindrome paranoica associata a manie di persecuzione", di "sdoppiamento della personalità" e di "delirio mistico". Viene poi internato a Ville-Evrard da dove scrive qualche lettera che firma col patronimico materno di Antonin Nalpas. Robert Desnos colpito dalle sue condizione lo aiuta a spostarsi alla clinica di Rodez, in zona occupata, diretta da Gaston Ferdiere.

A partire dal 1943 le condizioni dell'internamento sono migliorate, tuttavia, subisce periodici cicli di elettrochoc; ricomincia quindi a scrivere e traduce testi da Carrol e Poe. Progetta una pubblicazione dei testi sui Tarahumaras e scrive su piccoli quaderni di scuola ciò che verrà pubblicato come Cahiers de Rodez.

Nel 1946 viene liberato e si trasferisce a Ivry a pochi chilometri da Parigi dove continua a scrivere e a disegnare senza sosta. Grazie ai fondi raccolti dalla Società degli Amici A.A., creata per l'occasione, organizza una serata al Teatro Sarah Bernhardt una vendita quadri, può stabilirsi nella casa di cura del dottor Delmas Ivry. Vive in un padiglione distaccato, in piena libertà di movimento circondato da vecchi e nuovi amici. Continua a scrivere anche nella prospettiva della pubblicazione delle Opere Complete presso Gallimard. Scrive i testi che comporranno Suppots et suppliciations e Artaud le Momo.

L’anno seguente si esibisce nella conferenza al Vieux-Colombier. Pubblicazione di Van Gogh, Le suicidé de la societé (che riceve il premio Sainte-Beuve) ed elaboro una nuova edizione di Les Tarahumaras. Registra inoltre la trasmissione, poi vietata, Pour en finir avec le jugement de dieu. Esibisce per finire alla mostra i ritratti e disegni alla galleria Pierre, per la quale compone una serie di testi. Pubblica vari testi su riviste.

Nel 1948 gli viene diagnosticato un tumore al retto, in operabile, ed il mattino del 4 marzo 1948 Artaud morì a Parigi, da solo nel suo pavillon, seduto di fronte al letto, con la sua scarpa in mano, forse per una dose letale del farmaco antipsicotico Chloral.

Opera di maggior rilievo di Artaud fu il libro “Il Teatro e il suo Doppio” ove espresse la propria ammirazione verso le forme orientali di teatro, in particolare quello balinese, di cui ammirava la fisicità ritualizzata e codificata della danza, e promulgò quello che definì un "Teatro della Crudeltà" in cui per crudeltà non intendeva sadismo, o causare dolore, ma piuttosto una violenta, fisica determinazione di scuotere la falsa realtà che, diceva, “si stende come un lenzuolo sulle nostre percezioni”. Egli credeva che il testo fosse stato un tiranno sul significato, e in sua vece spingeva per un teatro fatto di un unico linguaggio, a metà strada tra gesto e pensiero; inoltre riteneva che le attività sessuali, inclusa l’onanismo, fossero dannose al processo creativo e dovessero essere evitate se si voleva aspirare a raggiungere un traguardo di purezza nell'arte.

Antonin Artaud descriveva lo spirituale in termini fisici, e credeva che tutta l'espressione fosse una espressione fisica nello spazio. Nonostante incitasse una sorta di "terapia sociale" attraverso il teatro, Artaud venne internato per qualche periodo di tempo perché considerato "folle".

Ancora oggi le sue opere sono apprezzate e studiate anche in Italia da registi e filosofi.

I principali concetti quindi del Teatro della Crudeltà di Artaud sono:

* credeva che il teatro potesse cambiare qualcosa alla realtà pessimistica della vita reale;

* utilizzo strumenti simbolici per mettere in moto le emozioni e l'anima dei presenti ed estragnarli dal quotidiano; * uso il grottesco, l'orrendo e il dolore per "aggredire" il pubblico



- Georges Bataille nacque a Billom, nel dipartimento Puy-de-Dôme (Francia), il 16 settembre del 1897 e morì a Parigi il 9 luglio del 1962, egli fece parte della seconda leva dei surrealisti francesi insieme ad Antonin Artaud, Pierre Drieu de la Rochelle, André Masson ed altri. Tuttavia, uscì presto dal gruppo in seguito a divergenze politiche: infatti i due principali surrealisti francesi, André Breton e Louis Aragon, durante il periodo tra le due guerre mondiali si avvicinarono al Partito Comunista Francese (PCF) abbracciando la causa stalinista; Bataille operò una scelta a suo dire più libertaria, che lo avvicinò alle posizioni di Lev Trotsky (rivoluzionario comunista.). L'anno dopo, nel 1930, la sua vena polemica l'indusse a scrivere il pamphlet, contro Breton, Un cadavre.

Il campo dei suoi studi fu molto vasto: dalla polemica sociale all'antifascismo (il suo giornale La critique sociale fu una delle voci più forti dell'antifascismo francese). Quello che fra i suoi numerosi scritti è ritenuto il più importante, Sur Nietzsche, offre una nuova visione e una rilettura in termini più rivoluzionari del filosofo tedesco, che la vulgata del tempo presentava come ispiratore del nazismo. Questa nuova visione della figura di Nietzsche influenzerà significativamente gli studi di Jacques Derrida, Pierre Klossowski e Roland Barthes, fra gli altri.

Uno dei concetti filosofico-antropologici più importanti introdotti da Georges Bataille la nozione di dépense, ispiratogli dalla lettura del Saggio sul dono dell'antropologo Marcel Mauss. Semplificando il discorso, la dépense - parola intraducibile in italiano, ma che può avere comunque un corrispettivo in "dispendio" - rappresenta secondo Bataille lo "spreco sacro": ossia, le offerte votive che le antiche civiltà consacravano agli dei - senza consumarle - a fini propiziatori. La nozione di dépense venne applicata dall'antropologo strutturalista Claude Lévi-Strauss nei suoi studi sul potlatch delle tribù del Pacifico e nei riti dei nativi americani.

Bataille introdusse inoltre il concetto della parte maledetta nei suoi studi sulla ritualità carnascialesca in Théorie de la Religion (1973) e sulla filosofia di Donatien-Alphonse-François de Sade nei suoi saggi: La Part maudite, (1949), L'Erotisme (1957) e La littérature et le Mal (1957).

Georges Bataille scrisse anche alcuni romanzi: il più celebre è L'azzurro del cielo (1935), opera d'impronta esistenzialista che regge il confronto con i lavori dei suoi contemporanei Sartre (che Bataille conobbe, e col quale ebbe un contrastato rapporto) e Camus. Un altro suo romanzo, L'impossibile (1962), si configura come una lunga sequenza di flash narrativi intervallati da incisioni di André Masson, anch'egli suo amico, della cui collaborazione si avvalse anche per il libro Histoire de l'oeil (1928).

L'opera letteraria di Bataille fu al centro di una attenta disamina critica da parte di Maurice Blanchot, primo e più acuto dei suoi esegeti. Quello tra Bataille e Blanchot è un sodalizio di pensiero e amicizia tra i più significativi del Novecento francese. Fu probabilmente grazie all'influenza di Blanchot che Bataille, nei primi anni del dopo-Guerra, fondò la rivista Critique, campo di battaglia della più vivace critica francese della seconda parte del secolo XX.

Fra gli eredi del pensiero di Bataille si annoverano alcuni fra i maggiori pensatori contemporanei: Michel Foucault, Jean Baudrillard, Jacques Lacan, Jean-Luc Nancy, Georges Didi-Huberman.

In Italia il pensiero di Bataille è stato ripreso da Franco Rella, Giorgio Agamben, Mario Perniola e, in anni più recenti e soprattutto in rapporto al tema comunitario, da Roberto Esposito, Felice C. Papparo, Rocco Ronchi e Federico Ferrari.



- René Char è nato a L'Isle-sur-la-Sorgue (Vaucluse) nel 1907, ed ha trascorso tutta la giovinezza in Provenza il cui paesaggio è sempre presente nella sua poesia. Ha partecipato alla resistenza (come capitano Alexandre fu personaggio leggendario nella lotta contro i tedeschi).

In fase surrealista ha scritto Artine (1930), Il martello sen za padrone (Le marteu sans maitre, 1934). Alla resistenza sono ispirati i Fogli di Hypnos (Feuillets d'Hypnos, 1946) che gli diedero la notorietà.

Ha il gusto per la fulminea audacia delle immagini e uno stile duramente opposto all'eloquenza, duro e contratto fino all'aforisma. Nelle opere successive è poeta essenzialmente lirico: Ricerca della base e della sommità (Recherche de la base et du sommet, 1955), Poesie e prose scelte (Poèmes et proses choisis, 1957), Comune presenza (Commune présence, 1964): Char crede nel linguag gio come accordo armonico tra immaginazione e natura, sa fondere in ogni frase una straordinaria e a volte enigmatica tensione co municativa. Densamente metaforici e simbolici sono La notte tali smanica (La nuit talismanique, 1972), La nudità perduta e altre poesie (Le nu perdu et autres poèmes, 1978).



- Jean Cocteau nacque a la Maisons-Laffitte, una cittadina presso Parigi, il 5 luglio del 1889; la sua versatilità, la sua originalità e la sua enorme capacità espressiva gli portarono l’attenzione internazionale. A dispetto dei suoi notevoli risultati - di fatto in tutti i campi artistici e letterari - Cocteau insisteva di essere principalmente un poeta e che tutti i suoi lavori fossero espressioni poetiche. Come leader del movimento surrealista ebbe grande influenza sui lavori di altri artisti, compreso il gruppo di Montparnasse, suo amico, conosciuto come Les Six. Tuttavia, malgrado il termine surrealismo fosse stato coniato da Guillaume Apollinaire per descrivere la collaborazione Parade di Cocteau, Erik Satie, Pablo Picasso e Léonide Massine, l'autoproclamatosi leader surrealista André Breton disse che Cocteau era un "noto falso poeta, un verseggiatore a cui capita di avvilire, invece di elevare, ogni cosa che tocca". (Breton, 1953)

Nel soleggiato pomeriggio del 12 agosto 1916 Pablo Picasso, la modella Paquerette, sua nuova compagna, Max Jacob, Manuel Ortiz de Zarate, Marie Vassilieff, Henri-Pierre Roché, Moise Kisling, Amedeo Modigliani e il critico André Salmon erano seduti assieme di fronte al caffè La Rotonde in Montparnasse.

Il loro amico Cocteau immortalò per i posteri questo straordinario assembramento di talenti in una serie di 21 fotografie, mostrando molti personaggi: un elegante Picasso vestito all'inglese con cappello piatto, bastone da passeggio e pipa di radica; la compagna, Paquerette, con indosso un lungo elegante vestito e un cappellino molto frivolo, mentre Max Jacob almeno appariva come se fosse misurato e rispettabile e la minuscola Marie Vassilieff appariva la formidabile piccola signora che era.

Negli anni Trenta Cocteau ebbe una improbabile relazione sentimentale con la principessa Nathalie Paley, la meravigliosa sorella del gran duca Romanov, famosa fashion-plate, attrice, modella e ex moglie del sarto Lucine Lelong. Per il dolore di Cocteau e l'eterno rammarico di Nathalie, essa, rimasta incinta, abortì a causa dell'intervento di Marie-Laure de Noailles, la eccentrica mecenate che da giovane amò Cocteau e che era determinata nel rovinare la sua nuova relazione. L'ultima relazione sentimentale di Cocteau fu col bell'attore francese Jean Marais, che scoprì e scritturò per "La Bella e la Bestia".

Nel 1940 Le Bel Indifferent, la rappresentazione di Cocteau scritta e scritturata per Edith Piaf, fu un enorme successo. Cocteau lavorò anche con Picasso a molti progetti e fu amico della maggior parte della comunità artistica europea.

Combatté contro la dipendenza dall'oppio per la maggior parte della sua vita adulta e fu un gay dichiarato, sebbene avesse avuto brevi e complicate relazioni con donne. Pubblicò una considerevole quantità di lavori di critica all'omofobia.

I film di Cocteau, il grosso dei quali scrisse e diresse assieme, furono particolarmente importanti nella 'introduzione del surrealismo nel cinema francese e influenzarono in un certo grado i futuri cineasti francesi della Nouvelle Vague.

Cocteau è soprattutto conosciuto per il suo racconto Les Enfants Terribles, del 1929, la rappresentazione teatrale Les Parents Terribles, anch'essa del 1929, e il film La Bella e la Bestia, del 1946.

Nel 1955 fu fatto membro della Académie française e della Acadèmie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique.

Nel corso della sua vita Jean Cocteau fu: Commander della Légion d'honneur francese, membro della Accademia Mallarmé, della Accademia Tedesca (Berlino), della Accademia Mark Twain (U.S.A.), presidente onorario del Festival di Cannes, presidente onorario della Associazione Franco-Ungherese e presidente della Accademia Jazz e della Accademia del Disco.

Morì colpito da infarto l’11 ottobre 1963, poche ore dopo aver appreso la notizia della morte della cantante Edith Piaf, per la quale, tra l'altro, scrisse l'elogio funebre, e fu inumato nella cappella St. Blaise Des Simples in Milly La Foret, dipartimento dell'Essonne, Francia.

Ha scritto una notevole quantità di poesie fra cui: La Lampe d'Aladin (1909), Le Prince frivole (1910), La Danse de Sophocle (1912), l’Ode à Picasso - Le Cap de Bonne-Espérance (1919), l’Escale. Poésies (1917-1920), il Vocabulaire (1922), La Rose de François - Plain-Chant (1923), Cri écrit (1925), L'Ange Heurtebise (1926), l’Opéra (1927), Mythologie (1934), l’Énigmes (1939), l’Allégories (1941), Léone (1945), La Crucifixion (1946), i Poèmes (1948), Le Chiffre sept - La Nappe du Catalan (in collaborazione con Georges Hugnet) (1952), le Dentelles d'éternité - Appogiatures (1953), Clair-obscur (1954), Paraprosodies (1958), le Cérémonial espagnol du Phénix - La Partie d'échecs (1961), Le Requiem (1962), e Faire-Part (uscito postumo nel 1968).

Per quanto riguarda il tratto romanzesco egli scrisse cinque opere narrative: Le Potomak (1924), Le Grand écart - Thomas l'imposteur (1923), Le Livre blanc (1928), Les Enfants terribles (1929), La Fin du Potomak (1940); inoltre trascrisse diverse sceneggiature teatrali fra cui: Les Mariés de la tour Eiffel (1921), Antigone (1922), Roméo et Juliette (1924), Orphée (1926), La Voix humaine (1930), La Machine infernale (1934), L'École des veuves (1936), Œdipe-roi. Les Chevaliers de la Table ronde (1937), Les Parents terribles (1938), Les Monstres sacrés (1940), La Machine à écrire (1941), Renaud et Armide. L'Épouse injustement soupçonnée (1943), L'Aigle à deux têtes (1946), Théâtre I et II (1948), Nouveau théâtre de poche (1960), L'Impromptu du Palais-Royal (1962), Le Gendarme incompris (postumo, in collaborazione con Raymond Radiguet) (1971).

Anche in campo saggistico egli trascrisse numerose opere: Le Coq et l'Arlequin (1918), Carte blanche (1920), Le Secret professionnel (1922), Le Rappel à l'ordre - Lettre à Jacques Maritain (1926), Opium (1930), Essai de critique indirecte (1932), Portraits-Souvenir (1935), Mon Premier voyage (Il giro del mondo in 80 giorni) (1937), Le Greco (1943), Le Foyer des artistes - La Difficulté d'être (1947), Lettres aux Américains - Reines de la France (1949), Jean Marais - Entretiens autour du cinématographe (avec André Fraigneau) (1951), Gide vivant (1952), Journal d'un inconnu. Démarche d'un poète (1953), Colette (discours de réception à l'Académie royale de Belgique) - Discours de réception à l'Académie française (1955), Discours d'Oxford (1956), Entretiens sur le musée de Dresde (avec Louis Aragon) - La Corrida du premier mai (1957), Poésie critique I (1959), Poésie critique II (1960), Le Cordon ombilical (1962), La Comtesse de Noailles, oui et non (1963), Portrait souvenir (posthume ; entretien avec Roger Stéphane) (1964), Entretiens avec André Fraigneau (postumo) (1965), Jean Cocteau par Jean Cocteau (postumo ; entretiens avec William Fielfield) (1973), Du cinématographe (postumo). Entretiens sur le cinématographe (postumo) (1973).



- René Crevel nacque a Parigi il 10 agosto del 1900 in una famiglia della media borghesia transalpina che fu per lui fonte di numerosi episodi spiacevoli: il padre, un soldato donnaiolo e stravagante, si suicidò nel 1914; la madre, severa cattolica, ebbe con René un pessimo rapporto, il fratello, malato di tubercolosi, morì giovanissimo. Crevel studiò lingua e letteratura inglese all'Università di Parigi e collaborò con la prestigiosa rivista letteraria Nouvelle revue française, che si schierava politicamente a sinistra. Tra la fine degli anni Dieci e l'inizio degli anni Venti condusse una vita piuttosto disordinata e mondana, che tuttavia gli permise di conoscere Klaus Mann (figlio del più celebre Thomas), che s'innamorò di lui, e soprattutto André Breton, il teorico del surrealismo che lo fece entrare nel suo movimento (1925). Dopo essersi iscritto al Partito Comunista Francese (fu un grande sostenitore di Lev Trotsky, che conobbe personalmente durante un viaggio in Messico), nel 1924 Crevel pubblicò la sua prima opera Détours (Deviazioni). Nel 1925, anno della pubblicazione del romanzo Mon corps et moi (Il mio corpo e me), iniziò una tempestosa storia d'amore con il pianista e pittore statunitense Eugene Mac Cown, che probabilmente venne usata dai surrealisti (che non vedevano affatto di buon occhio la sua omosessualità, anche se nel suo caso forse sarebbe più corretto parlare di bisessualità) come pretesto per espellerlo dal gruppo nell'ottobre dello stesso anno. Nel 1926, dopo la pubblicazione di La mort difficile (La morte difficile), Crevel si accorse di essere anch'egli malato di tubercolosi (la madre era deceduta nello stesso anno proprio a causa di quella terribile malattia). Nonostante ciò continuò a pubblicare numerose opere, tra cui ebbero particolare successo Etes-vous fous? (Siete pazzi?) del 1929 e Les pieds dans le plat (I piedi nel piatto, espressione colloquiale francese per indicare una gaffe) del 1933. L'esilio di Trotsky nel 1929 lo spinse a riunirsi ai surrealisti. Rimanendo fedele ad André Breton, lottò per unire insieme comunisti e surrealisti. Nel 1934 si legò sentimentalmente a una ricchissima ragazza sudamericana, ma nella notte tra il 17 ed il 18 giugno dell'anno seguente si suicidò aprendo il gas della sua cucina, forse perché intristito dalle severe critiche che ricevevano i suoi lavori. Morì a Parigi il 18 giugno del 1935.

Tra le sue opere possiamo citare Détours (1924), Mon Corps et moi (1925), La Mort difficile (1926), Babylone (1927), L'Esprit contre la raison (1928), Êtes-vous fous? (1929), Les Pieds dans le plat (1933), Le Roman cassé et derniers écrits (1934-1935).



- Robert Desnos è nato a Parigi nel 1900 (morto a Terezin nel 1945), aderì al dadaismo e poi, dopo aver conosciuto B. Péret, al surrealismo, partecipando soprattutto alle 'séances de sommeil' organizzate da Breton e Péret. Si rivelò un vero genio dell'automatismo verbale, e diventò uno specialista nella ricostruzione dei sogni. La sua concezione totale della poesia lo portò nel 1930 a rompere con il surrealismo, accusato di inquinamenti cultural-politici.

La sua opera poetica è caratterizzata dalla raffinatezza delle scelte espressive, dal rapporto con un retroterra culturale classico (es. gli alessandrini), un'ispirazione visionaria: La libertà o l'amore (La liberté ou l'amour, 1927), Corpi e beni (Corps et biens, 1930), Fortune (Fortunes, 1942). Originalità della sua scrittura è l'unione di improvvisazione e ricerca sul linguaggio.

Durante la guerra entrò nella resistenza; deportato in Cecoslovacchia, morì a Terezin all'indomani della sua liberazione. Nel 1953 l'essenziale della sua opera poetica è stato raccolto sotto il titolo Dominio pubblico (Domaine public).



- Renè Daumal è nato a Boulzicourt (nelle Ardenne) il 16 marzo 1908 (morto a Paris nel 1944), discepolo di Gurdjieff e sostenitore "della potenza delle parole e della debolezza del pensiero", condusse durante la sua breve vita una ricerca mistico-spiritualistica contro le miserie di una cultura occidentale giudicata cadaverica e unidimensionale rispetto alle possibilità dell'immaginazione liberata.

Tra i fondatori della rivista d'avanguardia Le Grand Jeu (1928-30), esperienza parallela al surrealismo ma maggiormente polemico nei confronti della società borghese; più vicino in questo senso al furore mistico di Artaud.

Ha composto versi di lirismo estroso e ribelle: Contro-cielo (Contre-ciel, 1936), La grande gozzoviglia (La grande beuverie, 1938). Postumi sono apparsi: la raccolta Poesia nera, poesia bianca (Poésie noire, poésie blanche, 1954); e scritti che illustrano i percorsi da lui seguiti nella ricerca della verità: l'autobiografia interiore Il monte analogo (Le mont analogue, 1952), Lettere agli amici (Lettres à ses amis, 1958), Bharata (1970) sull'origine del teatro della poesia e della musica in India, I poteri della parola (Les pouvoirs de la parole, 1972).



- Paul Éluard pseudonimo di Paul Eugène Grindel (egli adotterà il nome d'arte Éluard nel 1916 riprendendolo dalla nonna materna), nacque a Saint-Denis, il 14 dicembre 1895, da Clément-Eugene Grindel, un contabile di ideologia socialista e da Jeanne-Marie Cousin una sarta per signora.

Frequenta le scuole a Saint-Denis, Aulnay-sous-Bois e nel 1908 a Parigi dove nel frattempo la famiglia si è trasferita. Prosegue gli studi a Parigi fino al 1912, quando a causa di un attacco di emottisi deve entrare nel sanatorio di Clavades a Davos in Svizzera dove rimarrà per quattordici mesi. A Clavades incontra una giovane russa, che egli chiamerà Gala e che diventerà in seguito sua moglie, scrive versi ispirandosi al vitalismo di Whitman e alla musicalità di Verlaine che pubblica insieme ad alcune composizioni sparse su riviste oltre a due poemetti:Premiers Poèmes e Dialogues des inutiles. Nel febbraio del 1914 Paul viene dimesso dal sanatorio e quando ad agosto scoppia la guerra, è arruolato con destinazione ai servizi ausiliari. Diventa su sua richiesta fante in prima linea e nel febbraio del 1917 sposa Gala. Ammalatosi nuovamente nel maggio dello stesso anno, viene definitivamente assegnato ai servizi ausiliari. Nel maggio del 1918 nasce la figlia Cécile e nel maggio dell'anno seguente viene smobilitato. Risale al 1916 la raccolta di versi Le devoir che ripubblica ampliata nel 1918 con il titolo La devoir et l'inquiétude e i Poèmes pour la paix. Nel 1919 partecipa alla vita del movimento dadaista e stringe rapporti di amicizia con i rappresentanti della contestazione artistica francese quali Paulhan, Aragon, Breton, Soupault e Tzara. Collabora intanto a diverse riviste d'avanguardia e dirige egli stesso la significativa rivista "Provèrbe". Nel 1920 pubblica Les animaux et leurs hommes, les hommes et leurs animaux, nel 1921 Les nécessités de la vie et les conséquences des réves, nel 1922 Répétitions e Les malheurs des immortels. Nel 1923 si contrappone, al dadaismo che si sta disgregando, il surrealismo ed Éluard passa, insieme ad Aragon, Péret e a Breton al nuovo movimento. L'animatore del surrealismo è André Breton e a lui Éluard dedica, nel 1924, Mourir de ne pas mourir. Nello stesso anno, colto da una crisi interiore, Paul abbandona improvvisamente Parigi e per sette mesi non dà notizie di sé, tanto da essere considerato morto. In realtà egli compie un lungo viaggio per mare da Marsiglia al Pacifico per fuggire alle contraddizioni che lo tormentavano. Ritorna a Parigi nell'ottobre del 1924 e presto riprende la sua attività nell'avanguardia. Continua a scrivere versi e nel 1925 pubblica 152 proverbes mis au goŭt du jour, in collaborazione con Péret e Au défaut du silence, con illustrazioni di Max Ernst; nel 1926 esce Capital de la douleur e Les dessous d'une vie ou la pyramide humaine. Sempre nel 1926 aderisce al Partito comunista e con la pubblicazione di Capital de la douleur viene riconosciuto come il "più poetico rappresentante della scuola surrealista".da quel momento vive in modo appassionato la vita del gruppo con mostre, incontri, proteste, libri, riviste, riunioni surrealiste. Nella seconda metà del 1928 Paul ha una ricaduta del suo male ed è ricoverato per diversi mesi in un sanatorio dei Grigioni ma appena è dimesso continua, a fianco alla sua militanza surrealista, l'opera di poeta pubblicando, nel 1929 Défense de savoir con un frontespizio di Giorgio De Chirico e L'amour la poésie. In questo periodo la sua vita con Gala attraversa un momento di profonda crisi e nel dicembre del 1929 incontra Maria Benz figlia di saltimbanchi, detta "Nusch" che diventa la sua nuova compagna e che lo seguirà fino alla morte improvvisa avvenuta nel 1946. Gli anni che vanno dal 1930 al 1938 vedono Éluard impegnato contro la repressione della società mentre si fa sempre più vicina la violenza della dittatura fascista che porta all'avvento di Hitler in Germania e alla vittoria di Franco in Spagna. Il poeta è sempre presente nell'offrire contributi non solamente poetici ma umani e politici. In questo periodo egli si allontana dal partito anche se non partecipa integralmente alle critiche che i surrealisti, ormai su una linea trotzkista, muovono all'Unione Sovietica e non sottoscrive il manifesto di protesta surrealista per il primo processo di epurazione politica di Mosca nel 1936 e non aderisce alla Federazione internazionale dell'arte rivoluzionaria fondata da Breton. Pubblica in questi anni molti libri tea i quali A toute épreuve nel 1930, Le vie immédiate nel 1932, La rose pubblique nel 1934, Facile nel 1935, Les yeux fertiles nel 1936, Les mains libres nel 1937, Cours naturel nel 1938. Nel settembre del 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, Éluard viene richiamato come tenente per prestare servizio nell'intendenza ma nel giugno del 1940, data che segna il crollo della Francia davanti a Hitler, egli viene smobilitato e può rientrare a Parigi. Nel 1942 chiede nuovamente l'iscrizione al partito comunista francese (P.C.F.) e fa parte del movimento clandestino, contrassegnando il suo contributo alla resistenza con edizioni di libri di versi e di giornali alla macchia e trasmissioni radiofoniche clandestine. É del '42 la sua famosa poesia Liberté. Nel febbraio del 1944 Éluard rientra a Parigi ancora occupata dai tedeschi e il 25 agosto dello stesso anno avviene la liberazione. Risalgono a questi anni Chanson complète e Mèdieuses nel 1939, Le livre ouvert. I e II (1940 e 1941), Poèsiìe et vérité nel 1942, Au rendez-vous allemaid (1942-1945), Le lit table nel 1944. Dopo la liberazione e alla fine del conflitto, Éluard si impegna con il comunismo e compie numerosi viaggi nei paesi dell' Europa orientale, appoggia in Grecia la lotta per la liberazione e in Italia prende parte attivamente, nel 1946, alla campagna per l'avvento della Repubblica. Il 28 novembre, Éluard, che si trova in Svizzera, riceve la notizia della morte improvvisa di Nusch e ne rimane profondamente scosso. Solamente alla fine dell'anno ricomincia a riprendersi e si butta più che mai nell'impegno politico e nella poesia. Nel 1949, in occasione della sua permanenza in Messico, dove partecipa al "Convegno internazionale per la pace" incontra Dominique Lemor che sposa nel 1951. Ma nei primi giorni del settembre 1952, Éluard ha un improvviso attacco di angina pectoris e il 18 novembre dello stesso anno, in seguito ad un nuovo attacco, muore a Charenton-le-Pont . Viene sepolto nel cimitero parigino Père-Lachaise.

Sono di questi ultimi anni molte opere tra le quali, Poésie ininterrompue del 1946 (la seconda parte viene pubblicata postuma, nel 1953), Le dur désir de durer sempre nel 1946, Poèmes politique nel 1948, Une leçon de morale nel 1949, Tout dire e Le Phénix nel 1951.

Le sue maggiori opere sono: Premiers Poèmes publiés sous le nom de Paul-Eugène Grinde (1913), Dialogues des inutiles (1914), Le Devoir et l'Inquiétude (1917), Les Animaux et leurs hommes. Les Hommes et leurs animaux Au Sans Pareil (1920), Les Nécessites de la vie et les Conséquences des rêves (1921), Répétitions, Au Sans Pareil (1922), Les Malheurs des immortels révèles (1945), Mourir de ne pas mourir (1924), 152 Proverbes mis au goût du jour (scritte assieme a Benjamin Péret, nel 1925), Capitale de la douleur (1926), Les Dessous d'une vie ou la Pyramide humaine (1926), Défense de savoir (1928), L'Amour la Poésie (1929), Ralentir travaux (in collaborazione con André Breton et René Char, del 1930), A toute épreuve (1930), L'Immaculée Conception (scritto con André Breton e J. Corti nel 1930) La Vie immédiate (1932), Comme deux gouttes d'eau (1933), La Rosé publique (1934), Nuits partagées (1935), Facile (1935).



- Benjamin Péret nato a Rézé (Loire-Atlantique) nel 1899 (morto a Paris nel 1959), ha scritto poesie segnate da veemente aggressività antiborghese, rifiuto dei luoghi comuni della morale, parodia della retorica ufficiale: “Il passeggero del transatlantico” (Le passeger du transatlantique, 1921), “Non mangio di quel pane” (Je ne mange pas de ce pain-là, 1936), “Fuoco centrale” (Feu central, 1947).

Militante comunista e poi troskista, si arruolò nelle brigate internazionali nella guerra di Spagna. Nel 1939-1945 fu in sudamerica e in Messico: compose un violento pamphlet contro la "poesia della resistenza" denunciandone i connotati patriottardi e tradizionalisti (Il disonore dei poeti, 1945). Ha scritto libri di narrativa e saggi



- Jacques Prevert nasce il 4 febbraio del 1900 a Neuilly-sur-Seine, cittadina del dipartimento della Seine, da padre bretone e da madre originaria dell'Alvernia in un ambiente piccolo borghese e molto devoto.

In Bretagna trascorre diversi anni della sua infanzia e le tradizioni popolari bretoni eserciteranno sulla sua opera una grande influenza. Prévert si dimostra fin dalla sua più giovane età amante della lettura e dello spettacolo. A 15 anni, dopo aver frequentato le scuole a Parigi e ottenuta la certificazione di studi, inizia a guadagnarsi da vivere intraprendendo piccoli lavori. Nel 1920, il giovane inizia il servizio militare e raggiunge il suo reggimento prima a Lunéville, dove conosce "Roro", un ragazzo di Orléans e il pittore dadà Yves Tanguy (che sarà inviato poco dopo in Tunisia) e con essi forma un affiatato trio. Prévert con la carica di caporale parte per Bisanzio che stava per cambiare il suo secondo nome (Costantinopoli) in Istanbul dove fa propaganda antimilitare e stringe amicizia con Marcel Duhamel che sarà il futuro autore e direttore di collane di Umor Nero. Di ritorno a Parigi nel 1922, Jacques si stabilirà con i suoi due amici artisti e col fratello Pierre, regista, al 54 di Rue del Château a Montparnasse che sarà presto il punto di riunione del movimento surrealista al quale partecipano Robert Desnos, Georges Malkine, Louis Aragon, Michel Leiris, Antoine-Marie-Joseph Artaud, Raymond Queneau senza dimenticare il capo fila André Breton, con il quale Prévert manterrà sempre ottimi rapporti malgrado la crisi e i dissensi che si verificarono all'interno del movimento surrealista nel 1929. I suoi primi testi risalgono al 1930 quando il poeta pubblica sulla rivista "Bifur" Souvenirs de famille on l'ange gardechiourme (Ricordi di famiglia ossia l'Angelo aguzzino). L'anno seguente sulla rivista "Commerce", dove lavora Giuseppe Ungaretti come redattore, esce il Tentative de description d'un diner de têtes à Paris-France (Tentativo di descrizione di un banchetto a Parigi, Francia) e recita in un film di Marc Allégret, Pomme de terre. Tra il 1932 e il 1936 Prévert svolge un'intensa attività teatrale, lavorando con la compagnia "Gruppo d'Ottobre", della Federazione Teatro Operaio, che intende promuovere un "teatro sociale". Per il gruppo Ottobre, Prévert fornisce un inno diventato popolare anche in Italia: Marche ou crève (Marcia o crepa). Scrive La Bataille de Fontenoy (La battaglia di Fontenoy) che viene rappresentata a Mosca nel 1933 durante una Olimpiade internazionale del Teatro Operaio alla quale partecipa anche come attore. Nello stesso periodo inizia le sue collaborazioni cinematografiche producendo gli scenari di alcuni dei vertici poetici del cinema francese. Scrive il testo e la sceneggiatura di L'affaire est dans le sac, diretto dal fratello Pierre e nel 1935 Le crime de Monsieur Lange per Jean Renoir. Nel 1936 pubblica sulla rivista "Soutes", La crosse en l'air e su "Les Cahiers G.L.M." Evénement. Scrive i testi delle sue prime canzoni che, musicate da Joseph Kosma, verranno interpretate da famosi cantanti come Juliette Greco, Yves Montand, Mouloudji, Agnès Capri, Marianne Oswald e Les Frères Jacques. Nel 1937 ritorna al cinema collaborando con Marcel Carné e scrive per il regista il copione di Drōle de drame (Lo strano dramma del dr. Molineaux) e nel 1938, dopo un soggiorno di un anno negli Stati Uniti a Hollywood, il soggetto del celebre film Quai des brumes (Porto delle nebbie), interpretato da Jean Gabin, Michèle Morgan, Pierre Brasseur, Michel Simon. Negli anni che vanno dal 1939 al 1945 egli continua la sua attività di soggettista e sceneggiatore scrivendo Disparus de Saint_Agil per Christian-Jacques e Pierre Laroche, Le jour se lève (Alba tragica) e Les portes de la nuit (Le porte della notte) (Mentre Parigi dorme) per Carné, Les visiteurs du soir (L'amore e il diavolo), per Carné e Laroche, Remorques e Lumière d'été per Jean Grémillon, Adieu e Lèonard per il fratello Pierre, Aubervilliers per Eli Lotar. Di questi anni è anche il capolavoro uscito dalla collaborazione Prévert- Carné, Les enfants du paradis (Gli amanti perduti) con Jean-Louis Barrault. Nel 1944 escono, su "Les Cahiers d'Art", Promenade de Picasso e Lanterne magique de Picasso. Nel frattempo il poeta, dimesso dall'esercito nel 1939, aveva lasciato Parigi per trasferirsi a sud a la Tourette-de-lupe dove Joseph Kosma, il fotografo Trauner e molti altri lo avevano raggiunto per lavorare con lui alla realizzazione dei film. Farà ritorno a Parigi nel 1945, a guerra terminata. Tra gli anni 1945 e 1947 Prévert riprende la sua attività teatrale con la rappresentazione di un balletto al quale collabora anche Pablo Picasso. Escono intanto due raccolte di poesie, "Histoires" e la celebre "Paroles" edizione curata da René Bertelé che avrà un enorme successo. Lavora intanto alla sceneggiatura di alcuni film, tra cui La Bergère et le ramoneur (La pastorella e lo spazzacamino) per Paul Grimault che sarà ripreso nel 1979 e darà vita ad un cartone animato dal titolo assolutamente fantastico "Il re e l'uccello", Notre Dame de Paris di Jean Delannoy e La fleur de l'age, che rimase incompiuto e segnò la fine della collaborazione con Carné. Scrive intanto numerosi testi per bambini che, realizzati dal fratello Pierre, verranno rappresentati in televisione. Si sposa e nasce la prima figlia, Michelle. Nel 1948, cade da una finestra degli uffici della Radio e precipita sul marciapiede dei Champs-Elysées rimanendo in coma per diverse settimane. Ripresosi si trasferisce con la moglie e la figlia a Saint-Paul de Vence, dove rimane fino al 1951. Scrive nel frattempo un nuovo soggetto, Les Amants de Vérone, per il regista André Cayatte, e pubblica una nuova edizione del suo best-seller "Paroles" che erano state riunite per la prima volta nel 1945 da René Bertelé, la raccolta "Spectacle" e "La Grand Bal du Printemps. Nel 1955 egli ritorna definitivamente a Parigi, pubblica una nuova raccolta di poesie, La pluie et le beau temps e si dedica ad una nuova attività artistica, quella del collages, che esporrà nel 1957 alla galleria Maeght a Saint-Paul de Vence. Nel 1956 il poeta pubblica il volume Miró con G. Ribemont-Dessaignes, con delle riproduzioni di opere di Mirò. Nel 1963 pubblica un nuovo volume di poesie, Histoires, et d'autres histoires. Nel 1966 esce l'opera Fatras, con 57 suoi collages. Negli anni successivi si stabilisce nella sua dimora di Omonville-la-Petite, nel dipartimento della Manche, ma colpito da grave malattia conduce vita ritirata ricevendo solamente alcuni dei suoi più cari amici, come Yves Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, il regista Joseph Losey, l'attore Serge Reggiani e pochi altri. L'11 aprile 1977 Prévert muore a Omonville-la-Petite, Manica, di cancro al polmone.

La poesia di Prévert è una poesia scritta per essere detta e quindi più parlata che scritta, fatta per entrare a far parte della nostra vita. Quando apparve l'opera di Prévert in Francia si pensò che fosse nato il poeta che avrebbe risollevato le sorti della poesia francese moderna. Una poesia, quella di Prévert venuta alla luce sotto l'influenza del surrealismo e via via, durante il corso degli anni, modificatasi con continue accensioni di non facili qualità. Prévert passa nella sua poesia dal gioco attento dell'intelligenza al controllo della sensibilità, dall'uso scanzonato dell'ironia ad una semplicità di espressione che a volte, ad un lettore superficiale, può sembrare sfiorare la banalità. Egli partecipa in modo sentimentale ai climi poetici affrontati ma anche con rigorosa obbedienza ad un simbolismo di alta scuola francese, sempre alla ricerca di un ritmo che non si discosta mai dal linguaggio comune. La poesia prevertiana è di una facilità pericolosa perché ricca di ritmi interni, di giochi di parole, di diverse situazioni psicologiche che sono lo specchio di questo grande poeta francese. Quando nel 1946 apparve la sua opera più famosa, "Paroles", tutti rimasero favorevolmente colpiti e non solo da parte della letteratura engagée che già conosceva la poesia di Prévert per averla letta in diverse occasioni, fin dal 1930, sulle pagine delle riviste letterarie, ma anche da parte di coloro che glorificando solamente la sua esperienza complementare, come quella del cinematografo, ritenevano il poeta non altro che un autore di versi per canzonette in voga. Le parole alle quali Prévert si affida sono audaci e l'accostamento che crea tra di esse può sembrare a volte brutale o polemico o blasfemo, ma invece è molto più saggio di quanto possa apparire. Anche i classici "inventaire" non sono banali ma costruiti su ritmi e sospensioni, su ragionamenti profondi che, pur alternando gli elementi più disparati, vengono fissati da una forte partecipazione e osservazione acuta del mondo che lo circonda. La poesia di Prévert parte sempre da un motivo polemico, e da una continua lotta al più deleterio conformismo, facendo nascere spesso una satira violenta soprattutto nelle poesie più impegnate dove non c'è posto per il sentimentalismo. Le parole di Prévert, che nascono spontanee dal suo umore, esprimono, a seconda delle occasioni, la forza del rimpianto, della violenza, dell'ironia, della tenerezza, della vendetta e dell'amore e non sono altro che le parole alle quali l'uomo comune dedica la propria vita. Le sue "histoires" sono sempre formulate attraverso un ben preciso gioco di parole che possono sembrare a volte strane, a volte banali, a volte coltissime, oppure tramite una imprevedibile improvvisazione che sfocia nell'humor. Ma, anche nei divertissement, Prévert ha la sua polemica da far valere a volte anche a scapito del risultato poetico, vizio tipico di quei poeti francesi rivoluzionari che non accettano compromessi letterari per difendere le loro idee, come il clochard non accetta compromessi sulla sua professione di clochard. Prévert può considerarsi un anarchico che sconfina con le sue parole nel regno della bestemmia e dell'ingiuria, ma la sua non è altro che la voce del cittadino che protesta. I temi sono dunque quelli comuni come la collera istintiva contro chi comanda e fa le leggi, contro i finti moralisti, contro chi ama e vuole le guerre, contro chi giudica. I personaggi delle poesie di Prévert sono quelli incontrati a Rue de Seine, sulle panchine delle Tuileries, nei bistrò, nelle squallide pensioni di Clichy, sui lungosenna, là dove sono di casa l'amore e la miseria, ma non sono mai personaggi anonimi perché ognuno ha il suo problema da risolvere entro la sera, la sua risata contro chi comanda, un figlio da piangere, un amore da ritrovare, un ricordo e una speranza Le poesie di Prévert o meglio le sue "tranches de vie" si offrono facilmente ad una interpretazione musicale perché non si allontanano molto dallo schema tradizionale delle chanson tipicamente francesi senza far si che questo ne diminuisca il valore soprattutto se si pensa che nei tabarins e nelle strade di Parigi hanno raccolto consensi "Le Dormeur du Val" di Arthur Rimbaud, "Le pont Mirabeau" e "Les saltimbanques" di Guillaume Apollinaire, "Si tu t'imagines" di Queneau.

Le due opere di maggior rilievo di Jacques Prevert sono:

a) "Gran Bal du Printemps" (Gran ballo di Primavera) nasce dalla felice unione artistica di Prévert e del fotografo Israelis Bidermanas, un ebreo lituano arrivato ventenne a Parigi. A Iziz è intitolata la prima poesia della raccolta, ed Iziz era il soprannome dell'amico fotografo le cui immagini accompagnavano le poesie di Gran ballo di Primavera nella prima edizione del libro La Guilde du livre, edizione fuori commercio, Losanna, 1951. L'editore Gallimard nel 1976, riunì questa raccolta in "Charmes de Londres" (Incanti londinesi) privandola delle foto e facendone un libro di poesie autonomo. Prévert ed Izis non solo usavano mezzi comuni, dall'immagine visiva e verbale, ma condividono l'immagine di un mondo. L'immagine del "mercante d'immagini" e del "suonatore ambulante" della poesia in apertura del volume è Izis ma è prima di tutto il poeta stesso. Entrambe le raccolte, "Il gran ballo di Primavera" e "Incanti londinesi", sono l'invito ad un viaggio non tanto della bellezza artistica, quanto di quella umana. Le poesie della raccolta "Il gran ballo di Primavera" sono pervase dalla musica ed è questa la musica di Parigi e di Londra, è la musica delle filastrocche per bambini, è quella dei carillon delle giostre e di tutte le voci anonime che si sentono ad ogni angolo di strada.

b) “Fatras” che apparve in Francia nel 1966 ed è uno degli ultimi libri di Prévert che conclude in modo ideale il lungo itinerario percorso.

Tra le sue poesie si annoverano : C'est à Saint-Paul-de Vence, (1945,

componimento che fa da prefazione al volume Souvenirs du Présent di André Verdet), Paroles, Paris, Gallimard (1946), Le cheval de Trois, (1946, comprendente anche versi di André Verdet e André Virel), Histoires, (in collaborazione con André verdet, del 1946), Contes pour enfants pas sages (1947), Des Bêtes..., (1951), Spectacle (1951), Vignette pour les vignerons (1951), Le Grand Bal du Primtemps (1951), Charmes de Londres (1952), Guignol (1952), Tour de Chant (1953), Le pluie et le beau temps (1955), L'univers de Klee (1955), Mirò (scritto in collaborazione con G.Ribemont-Dessaignes nel 1956), Images, (con prefazione di René Bertelé del 1957), Portraits de Ricasso (1959), Gravures, et d'autres histoires (1963), Les Halles (con fotografie di romain Urhausen, del 1963), Les Chiens ont soif, (in collaborazione con Max Ernst, del 1964), Cinq Peintres et un Sculpteur (in collaborazione con G.fromager del 1965), Fatras (1966), Varengeville (1968), Imaginaires (1970), Choses et autres (1972), Soleil de nuit (1980).



- Raymond Queneau è nato a Le Havre nel 1903 (morto a Paris nel 1976), laureato in filosofia, appassionato di matematica linguistica letteratura psicanalisi, partecipò al surrealismo (1924-29). Ha esordito con il romanzo Il pantano (Le chiendent, 1933) che ebbe immediato successo di pubblico e di critica. Surrealista è il racconto Odi le (1937); alle sue esperienze psicoanalitiche riconduce il "romanzo in versi" Quercia e cane (Chene et chien, 1937). Nella produzione di questi anni sono prevalenti preoccupazioni di ordine esistenziale, ma spesso con toni populistici, e crescente interesse per la pratica letteraria come terreno di oggettiva relatività dei segni linguistici. Le iniziali durezze dello sperimentatore tendono a sciogliersi negli anni successivi in una scrittura fantastica, densa di implicazioni gnoseologiche, viva di un retroterra culturale eclettico erudito. Il suo humor, dall'umorismo nero surrealista all'ironia dialettica della tradizione razionalista, è affermazione di relativismo radicale e di stupore per gli elementi di casualità emergenti nel linguaggio.

La sua opera si presenta come un luminoso laboratorio linguistico e culturale, aperto a tutte le eventualità della ragione e dell'immaginazione: i romanzi Pierrot amico mio (Pierrot mon ami, 1942), Zazie nel metrò (Zazie dans le métro, 1959), I fiori blu (Les fleurs bleues, 1965), Il volo di Icaro (Le vol d'Icare, 1975); i versi di Piccola cosmogonia portatile (Petite cosmogonie portative, 1950), Il cane con il mandolino (Le chien à la mando line, 1958), In giro per le strade (Courir les rues, 1967), Mora le elementare (Morale élémentaire, 1975). Fondamentali gli Esercizi di stile (Exercises de style, 1947) in cui un fatto di cronaca è raccontato in 99 modi diversi.





- Pierre Reverdy è nato a Narbona nel 1889 (morto a Solesmes, nella Sarthe, nel 1960), si trasferì a Paris nel 1910 dove si legò agli ambienti dell'avanguardia. La poetica cubista ispira i primi versi dei Poemi in prosa (1915). Nel 1917 fonda la rivista Nord-sud, organo principale del modernismo letterario. In L'abbaino ovale (La lucarne ovael, 1916) e nel romanzo autobiografico Il ladro di talento (Le voleur de talent, 1917) comincia a rivelare la sua originalità: frantumati i nessi sintattici, la ricerca di livelli autentici dell'espressione diventa esplicito programma letterario. Nel 1921 si converte al cattolicesimo e nel 1926 si ritira in una misera casa vicino all'abbazia di Solesmes dove rimase fino alla morte.

La ricerca di una poesia pura e di un linguaggio immediatamente efficace ha prodotto le prose straordinarie del Guanto di crine (Le gant de crin, 1927) che sviluppavano i versi de I relitti del cielo (Les épaves du ciel, 1924). Rivendicato come maestro dai surrealisti, mantenne la sua autonomia.

Dopo la guerra raccolse la sua produzione poetica in due antologie, La maggior parte del tempo (Plupart du temps, 1945) e Manodopera (Main- d'oeuvre, 1949). Autobiografico è Il mio libro di bordo (Le libre de mon bord, 1948).

E' con la sua rigorosa "poesia concreta" che Reverdy presiedette all'avvento del dadaismo e fu alle origini delle operazioni surrealiste del linguaggio.



- Philippe Soupault è nato a Chaville (Paris) nel 1897, alla fase dadaista appartengono i versi de Rosa dei venti (Rose des vents, 1920); con Breton ha sperimentato la scrittura automatica ne I campi magnetici (1920). Nel 1927 si staccò dal surrealismo disapprovando l'adesione di Breton al PCF. La sua poesia era però già svincolata dalle tematiche del gruppo: Westwego (1922), Wang- Wang (1924), Georgia (1926). Nelle opere posteriori sono ritmi popolareggianti e una più viva partecipazione agli eventi della storia: C'è un oceano (Il y a un océan, 1936), L'arma segreta (L'arme secrète, 1946), Canzoni del giorno e della notte (Chansons du jour et de la nuit, 1949), Senza frasi (Sans phrases, 1953).

Nel 1923-28 sperimentò una narrativa d'ispirazione surrealista: in una prosa lirica estremamente tesa evoca personaggi travolti dal sogno, dal vizio, dalla smania dell'avventura: Il buon apostolo (Le bon apotre, 1923), Alla deriva (A la dérive, 1924), Puntate! (En joue, 1925), Il negro (Le nègre, 1927). Punto d'arrivo di questa esperienza è Le ultime notti di Paris (Les dernières nuits de Paris, 1928), romanzo poliziesco che ha per protagonista Paris colta nei suoi aspetti quotidiani e più allucinanti.

Soupault ha scritto per il teatro e per il cinema. Tra gli scritti letterari e artistici: Profili perduti (1963), L'amicizia (1965). Autobiografico è Il tempo degli assassini : storia del detenuto n.1934 (1945) dove Soupault rievoca l'arresto e la prigionia subiti a Tunisi nel 1943 a opera del governo di Vichy.



- Un discorso a parte merita Tristan Tzara che è il pseudonimo di Sami Rosenstock; egli nacque a Moineşti, (Romania) il 16 aprile del 1896 fu un poeta e saggista che visse per la maggior parte della sua vita in Francia. È conosciuto soprattutto per essere il fondatore del Dadaismo, un movimento di avanguardia rivoluzionaria nelle arti, che si sviluppo a partire da Zurigo durante la Prima Guerra Mondiale. Tzara scrisse i primi testi Dada, La première aventure céleste de Monsieur Antipyrine (1916), Vingt-cinq poèmes (1918) e il manifesto del movimento, Sept manifestes Dada (1924). A Parigi, assieme ad altri artisti come André Breton, Philippe Soupault e Louis Aragon fu protagonista di attività artistiche rivoluzionarie con l’intento di scioccare il pubblico e di disintegrare le strutture del linguaggio. Alla fine del 1929, stanco del nichilismo e del distruzionismo, si unì ai suoi amici nelle attività più costruttive del Surrealismo. Si spese per conciliare il Surrealismo con il Marxismo ed entrò a far parte del Partito Comunista Francese nel 1937. Fu un attivo resistente francese nella seconda Guerra Mondiale. Lasciò il Partito nel 1956, in protesta contro la repressione Sovietica della Rivoluzione Ungherese. I suoi ideali politici lo portarono più vicino ai valori umani, e poco a poco divenne un poeta lirico. Le sue poesie rivelavano l'angoscia della sua anima, presa in mezzo tra rivolta e meraviglia nella tragedia quotidiana della condizione umana. I suoi lavori maturi iniziarono con L'Homme approximatif (1931) e continuarono con Parler seul (1950) e La face intérieure (1953). In questi lavori, le parole affiancate in modo anarchico del Dada erano sostituite da un linguaggio difficile ma umanizzato. Morì a Parigi, il 25 dicembre 1963, ed il suo corpo venne interrato nel Cimitero di Montparnasse.







In Italia il surrealismo non ebbe veri e propri esponenti e venne soppiantato grazie alla rivista “900” (nel 1926), dal Realismo Magico, movimento artistico letterario privo di principi programmatici espliciti ma fortemente radicato nella consapevolezza del “senso magico scoperto nella vita quotidiana degli uomini e delle cose”, nella predominanza dell’immaginazione.

Il Realismo Magico vide come propri esponenti Massimo Bontempelli, Italo Calvino e Stobbione Bruno in Italia; mentre nel resto del mondo possiamo citare ad esempio Isabel Allende (Cile), Jorge Luis Borges (Argentina), Carlos Fuentes (Messicano), Günter Grass (Germania), Alice Hoffman (USA), Gabriel García Márquez (Colombia), e Haruki Murakami (Giappone), ecc...



- Massimo Bontempelli nasce a Como il 12 maggio 1878 e muore a Roma il 21 luglio 1960; è stato uno scrittore italiano che, accanto ai suoi amici Alberto Savinio e Giorgio De Chirico, rappresenta il tentativo di un’adozione degli sperimenti surrealistici nell’arte italiana che, secondo la sua concezione teorica, chiama il «realismo magico».

Dopo la laurea in Lettere e Filosofia ottenuta nel 1903 all'Università di Torino, lavora come giornalista (per Il Marzocco, La Nazione e Nuova Antologia) e quindi come insegnante. Fa parte prima ai circoli carducciani-tradizionalisti e poi a quelli futuristi. Nella prima fase collabora, tra l’altro, alla rivista La Voce sotto lo pseudonimo di “Minimo Maltempelli” e pubblica i suoi primi volumi (Socrate moderno, 1908 e I sette savi, 1912) che presto disconosce. Dopo la prima guerra mondiale a cui partecipa come ufficiale d’artiglieria e come corrispondente de Il Messaggero, si avvicina al futurismo e scrive con tali influenze Il purosangue. L’ubriaco (1919), un volume di poesie, e i romanzi La vita intensa (1920) e La vita operosa (1921).

Sono i suoi soggiorni da giornalista a Parigi negli anni 1921 e 1922 a metterlo in contatto con le nuove avanguardie francesi e a cambiare profondamente la sua immagine dell’artista moderno. Infatti, nei brevi romanzi La scacchiera davanti allo specchio (1922) e Eva ultima (1923) si nota uno stile ispirato all’arbitrio irrazionale e alla casualità apparente dei sogni, un’impostazione di scrittura che coincide in gran parte con le pretese del Primo manifesto del Surrealismo di André Breton (1924).

Stringe amicizia con Luigi Pirandello che, all’occasione della loro collaborazione per il «Teatro d’Arte», lo spinge a scrivere anche drammi per la sua compagnia. Ne nascono Nostra Dea (1925) e Minnie la candida (1927), ambedue messi in scena dal maestro siciliano.

Con Curzio Malaparte fonda nel 1926 la rivista internazionale "900", Cahiers d'Italie et d'Europe che fino al 1927 è pubblicata in francese e si rivolge a tutti gli intellettuali cosmopoliti del cosiddetto «novecentismo» (oppure «stracittà»). Su questa piattaforma espone la sua poetica innovatrice del «realismo magico» che, secondo il modello francese, invita l’artista moderno a scoprire l’incanto dell’inconscio e delle avventure imprevedibili, però senza rinunciare alla funzione di controllo della sua ragione umana. Come “mitografo” l’artista deve rivelare il “senso magico scoperto nella vita quotidiana degli uomini e delle cose” semplificando la realtà problematica e complessa nella società di massa e traducendola in favole e miti nuovi. L’edizione integrale di questo suo programma del movimento avviene nel 1938 sotto il titolo L'avventura novecentista.

Se i suoi primi romanzi e racconti di stampo “magico” hanno ancora una certa originalità ricca d’idee che si riscontra anche nella raccolta La donna dei miei sogni e altre avventure moderne (1925), l’arte narrativa di Bontempelli si consuma invece alla fine degli anni Venti in un costruttivismo troppo astratto, artificioso ed intellettualistico. Già i romanzi Il figlio di due madri (1929) e Vita e morte di Adria e dei suoi figli (1930), ma tanto più le opere posteriori come Gente nel tempo (1937) e Giro del sole (1941), mostrano questa tendenza ad una realizzazione meccanicamente manierata della sua trovata stilistica.

Coltiva, inoltre, un forte interesse per l’architettura razionalista; e per questo motivo, dal 1933, dirige con Pier Maria Bardi la rivista Quadrante. Insieme alla sua compagna, la scrittrice Paola Masino, è spesso all’estero per viaggi, conferenze e dibattiti culturali.

Convinto assertore del fascismo, nel quale vede il mezzo politico più adatto a sostenere la nascita di una società moderna in Italia, Bontempelli nel 1930 è nominato Accademico d’Italia. La sua avversione al provincialismo di «strapaese» però lo porta a trovarsi spesso su posizioni antitetiche a quelle dichiarate dal Regime, fino all’espulsione dal PNF nel 1939. Al confino a Venezia matura, negli anni di guerra, una revisione delle sue ideologie. Nel 1948 viene eletto senatore nelle liste del Fronte Popolare; la nomina è stata invalidata però per i suoi trascorsi fascisti.

Nel 1953 vince il Premio Strega con il suo ultimo libro L'amante fedele. Una grave malattia gli impedisce di proseguire il suo lavoro negli ultimi anni di vita, confinandolo in un penoso isolamento. All’età di 82 anni, muore a Roma il 21 luglio 1960.



- Italo Calvino nasce a Santiago de las Vegas (Cuba) il 15 ottobre 1923, durante il breve trasferimento dei genitori per motivi personali. Il padre Giacomo, ligure d'origine, è agronomo mentre la madre, (Dorotea) Evelina Mameli, nativa della Sardegna, è biologa. Nel 1925 la famiglia ritorna da Cuba, stabilendosi a San Remo.

Qui Calvino vive la sua infanzia, che egli ricorda spensierata nel clima amorevole di in una famiglia dedita alle attività scientifiche ed alla ricerca. Il padre dirige la stazione sperimentale di floricoltura "Orazio Raimondo" di San Remo, mentre la madre collabora con l’Istituto di botanica dell'Università di Pavia. Il periodo fascista non sembra sulle prime segnare in modo particolare la sua personalità né sconvolgere la serenità familiare di quegli anni. Nonostante i genitori siano intimamente e culturalmente contrari al "Regime", la loro posizione (socialista lei, tendenzialmente anarchico lui) sfuma dentro una generale condanna della politica.

Nel 1927 frequenta l'asilo infantile St.George College. Il primo vero contatto con la cultura fascista è vissuto da Calvino negli anni tra il 1929 ed il 1933, quando non può sottrarsi all'esperienza di diventare balilla, obbligo scolastico esteso anche alle scuole valdesi frequentate dal piccolo Italo.

Nel 1934 inizia la frequentazione del ginnasio-liceo "G.D. Cassi", dove coltiva l'amicizia con Eugenio Curia, che più tardi diverrà un importante rapporto per la sua crescita letteraria e politica.

La famiglia Calvino non ha una fede religiosa, e per quei tempi manifestare apertamente un certo atteggiamento agnostico costava almeno l'appellativo di "anticonformisti". Segno che Calvino ricorderà poi quale elemento di formazione importante, per averlo presto svezzato ai sentimenti della tolleranza e della diversità, con la conseguenza di predisporlo al costante confronto con le ragioni dell'"altro".

Sono questi i semi culturali e storici di quella formazione che il giovane Calvino più tardi tradurrà in una scrittura capace di spaziare dalla saggistica politica a quella letteraria e teatrale; dal racconto impegnato, a quello ironico e umoristico; dalla pungente critica sociale, alla sceneggiatura di testi teatrali, finanche alla composizione di testi per poesie.

Ma proprio quando l'età gli darebbe occasione di gustare appieno quella grande ricchezza cosmopolita e culturale che si addensa nel circondario di San Romolo in quegli anni, la guerra sconvolge la serena vita di provincia. Destina Calvino ad una serie di vicissitudini, dai toni anche drammatici, capaci però di saldarsi con l'apertura di vedute già matura nel fisico, forgiando così l'impegno politico e storico che Calvino esprimerà in forma di partecipazione e di scrittura.

Tra il 1941 e 1942, dopo aver completato gli studi liceali, si trasferisce a Torino e si iscrive alla facoltà di Agraria. Mentre prepara e sostiene gli esami dei primi anni, superati poi con successo ma senza convinzione, Calvino coltiva quelli che sempre più marcatamente appaiono come i suoi veri interessi: la letteratura, il cinema, il teatro. Scrive La commedia della gente, un lavoro teatrale per un concorso letterario e Pazzo io o pazzi gli altri che presenterà alla casa editrice Einaudi ma senza successo.

L'ambiente culturale di Torino, che Calvino frequenta assiduamente, ed i fermenti politici di contrapposizione al regime, più che mai vivi nel capoluogo piemontese, fondono in lui letteratura e politica. Grazie all'amicizia ed ai suggerimenti di Eugenio Scalfari (già suo compagno al liceo), focalizza i suoi interessi sugli aspetti etici e sociali che coltiva nelle letture di Huizinga, Montale, Vittorini, Pisacane. Nel 1943 si trasferisce alla facoltà di Agraria e Forestale di Firenze, dove sostiene pochi esami.

Il 9 agosto 1943 ritorna a Sanremo. L'8 settembre trova Calvino renitente alla leva. Contrario ad aderire alla Repubblica di Salò, trascorre un breve periodo nascosto e solitario a Sanremo, momento in cui approfondisce ulteriormente il canovaccio politico-sociale della sua passione letteraria. La definitiva scelta per la clandestinità matura più per questioni affettive ed emozionali che per persuasione politica. All'indomani dell'uccisione del giovane medico Felice Cascione per mano fascista, Calvino aderisce assieme al fratello Floriano,alla seconda divisione d'assalto partigiana "Garibaldi" intitolata allo stesso Cascione. In verità, egli si definisce un anarchico, ma in quegli anni di clandestinità impara ad ammirare gli esiti positivi dell'organizzazione ed il coraggio che la genuina persuasione politica irradia, allorché è scelta convinta. Nel marzo del 1945, quando ormai gli alleati sono in Italia, Calvino è protagonista attivo nella battaglia di Baiardo, una delle ultime battaglie partigiane. Ricorderà l'evento nel racconto Ricordo di una battaglia, scritto nel 1974.

Dopo la Liberazione, mentre la sua inclinazione anarchica e libertaria non affievolisce, in lui va costruendosi un'ampia e complessa visione del mondo che non cede a semplificazioni politiche e sociali. Non esalta l'idea comunista sotto il profilo culturale e filosofico. Matura, ciononostante, l'esigenza di organizzare forme politiche e strutture sociali a difesa dei diritti, della dignità umana e della libertà. Con questo spirito aderisce al P.C.I. e ne diviene attivista e quadro, esprimendo la sua partecipazione con interventi di carattere politico e sociale, su quotidiani e periodici culturali, oltre che nelle sedi istituzionali del partito.

Si iscrive alla Facoltà di lettere di Torino, accedendo direttamente al III anno, grazie alla legislazione postbellica in favore dei partigiani ed ex combattenti. Conosce Cesare Pavese che diverrà guida culturale ed umana, oltre che "primo lettore" delle sue opere. Scrive Angoscia in caserma ed inizia una collaborazione con Il Politecnico, periodico diretto da Elio Vittorini. Tra il '46 ed il '47 compone Campo di mine, vincitore di un concorso letterario indetto da "L'Unità", ed una serie di racconti che saranno poi messi assieme ne Ultimo viene il corvo pubblicato nel 1949. Tra l'estate e il 31 dicembre del 1946, per concorrere al Premio Mondadori per un inedito, scrive il primo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno. Dopo la laurea nel 1947, che consegue con una tesi su Joseph Conrad, inizia una collaborazione con l'Einaudi, curandone l'ufficio stampa. Il rapporto con la casa editrice sarà centrale nelle attività di Calvino, anche se talvolta intermittente ma ricco di incarichi sempre diversi e via via più importanti. Durerà fino al 1961, momento in cui si trasformerà in "consulenza editoriale esterna".

Le attività culturali si intensificano assieme alle conoscenze personali. Frequenta Vittorini, Natalia Ginzburg, Delio Cantimori, Franco Venturi, Norberto Bobbio, Felice Balbo. Collabora con "l'Unità" e con "Rinascita". Nel 1949 viene pubblicato Ultimo viene il corvo e resta inedito Il bianco Veliero. Scrive interventi politico-sociali e di saggistica letteraria, su diverse riviste culturali, tra cui "Officina", "Cultura e realtà", "Cinema Nuovo", "Botteghe Oscure", "Paragone", oltre che su "Il Politecnico" di Vittorini già citato. Sulle riviste pubblica anche brevi racconti, fra cui La formica argentina e le prime novelle di Marcovaldo.

Nel mese di agosto del 1950 Cesare Pavese si suicida e Calvino perde l'amico e maestro, oltre che il suo "primo lettore". Ne rimane sconvolto poiché Pavese era da lui vissuto come uomo forte di carattere e di temperamento risoluto. Gli resta il profondo rammarico per non aver intuito il dramma dell'amico.

I suoi viaggi sporadici si infittiscono e nel 1951 visita l'Unione Sovietica per un paio di mesi, dandone puntuale resoconto nel Taccuino di viaggio in URSS di Italo Calvino, con cui vince il premio Saint Vincent. Scrive il romanzo I giovani del Po e, quasi di getto, Il visconte dimezzato.

Tra il '53 ed il '54 tenta un romanzo di ampio respiro che resterà inedito La collana della regina, mentre lavora assiduamente ad un progetto nuovo che lo appassiona particolarmente. Si tratta delle Fiabe italiane, rimaneggiamento e raccolta di antiche fiabe popolari, pubblicate nel novembre del 1956.

Sul versante dell'impegno politico, l'idea di società maturata con gli anni non delude il suo spirito anarchico e libertario, anzi lo arricchisce e lo caratterizza nella forma di precisi interventi critici in occasione del XX Congresso del PCUS del 1956. Calvino esprime il dissenso per certi aspetti che la politica sovietica va prendendo, soprattutto in ragione della libera espressione e circa l'importanza della forma democratica. Ma non risparmia critiche neppure ad una certa chiusura culturale dei dirigenti del PCI, né a a talune pratiche interne all'apparato. L'idea di un nuovo PCI riformato e rifondato, che ispira Calvino, è dichiaratamente di matrice giolittiana. La disillusione è però incolmabile solo pochi mesi dopo il Congresso, quando l'armata rossa invade la Polonia. Con i fatti di Poznan e Budapest matura in Calvino la decisione di abbandonare il partito.

Il 1° agosto 1957 formalizzerà con una lettera al Comitato Federale di Torino le proprie dimissioni, seguite a quelle di Antonio Giolitti. Spesso interviene su una rivista di intellettuali dissidenti "Città aperta", a conferma che l'amarezza maturata a seguito di certe scelte del partito non degrada in qualunquismo, ma si fa critica puntuale e propositiva.

Continua a scrivere ed a viaggiare e fonda con Vittorini "Il Menabò". Tra il '58 ed il '62 pubblica La gallina di reparto, La nuvola di smog e l'antologia Racconti. Sulla rivista culturale "Contacronache" scrive testi di canzoni: Canzone triste, Dove vola l’avvoltoio, Oltre il ponte, Sul verde fiume Po. Nel 1959 pubblica il romanzo Il cavaliere inesistente e parte per un viaggio negli Stati Uniti, esperienza che diverrà soggetto del racconto inedito Un ottimista in America . Escono su "Il Menabò" il saggio La sfida al labirinto ed il racconto La strada di San Giovanni.

La sua fama è ormai affermata. Spesso è chiamato per conferenze e dibattiti in ogni parte d'Europa. Nell'isola di Maiorca riceve il premio internazionale Formentor. Nel 1962, in occasione di un ciclo di incontri letterari, conosce a Parigi la sua futura moglie, la traduttrice argentina Esther Juthit Singer, detta Chiquita, che sposerà a L'Avana il 19 febbraio del 1964. A Cuba ha anche occasione di incontrare Ernesto Che Guevara. Torna in Italia e si stabilisce a Roma con la moglie ed il figlio di lei Marcello Weil.

Nasce in quegli anni il gruppo '63, corrente letteraria neoavanguardista, che Calvino segue con interesse pur senza condividerne l'impostazione di fondo. Pubblica i racconti La giornata di uno scrutatore e Speculazione edilizia. A fine '64 vanno in stampa le prime cosmicomiche La distanza della Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in punto. Poco dopo pubblica Il barone rampante ed il dittico La nuvola di smog - La Formica argentina.

Il 12 febbraio del 1966 muore l'amico Elio Vittorini, al quale dedica il saggio Vittorini: progettazione e letteratura. Calvino traccia nel saggio il pensiero d'un intellettuale aperto e fiducioso, in dissonanza col pessimismo letterario di quegli anni, della decadenza e della crisi. All'indomani della morte di Vittorini, Calvino inaugura un periodo di meditazione, necessario forse ad elaborare il proprio vissuto, distante dal frastuono delle città e della vita pubblica. Così egli descrive il cambiamento: Lo stendhalismo, che era stata la filosofia pratica della mia giovinezza, a un certo punto è finito. Forse è solo un processo del metabolismo, una cosa che viene con l'età, ero stato giovane a lungo, forse troppo, tutt'a un tratto ho sentito che doveva incominciare la vecchiaia, sì proprio la vecchiaia, sperando magari di allungare la vecchiaia cominciandola prima.

Nel 1967 si trasferisce a Parigi assieme alla famiglia. Segue il dibattito culturale francese ma conduce una vita pressoché in disparte, pur frequentando alcuni intellettuali parigini come Georges Perec, François Le Lionnais, Jacques Roubaud, Paul Fournel, Raymond Queneau. Di quest'ultimo traduce I fiori blu, da cui la letteratura del maturo Calvino trarrà gli aspetti più umoristici ed i riferimenti cosmologici. Approfondisce la sua passione per le materie scientifiche e per il gioco combinatorio. I frutti di questo nuovo arricchimento già si manifestano nella raccolta di racconti Ti con zero, vincitore del Premio Viareggio 1968. Premio che però Calvino rifiuta, ritenendo ormai tali manifestazioni letterarie semplice espressione retorica, anche se, successivamente, accetterà altri premi letterari. Pubblica la prima edizione dell'antologia scolastica La lettura. Assieme a Guido Neri, Gianni Celati ed altri intellettuali, lavora al progetto per la realizzazione di una rivista sociale e letteraria a larga diffusione, destinata al grande pubblico.

Pur non condividendo l'ideologia di fondo del sessantotto francese, Calvino è particolarmente attratto ed affascinato dal valore utopico disseminato di certe rivendicazioni del movimento studentesco e sociale. Tra il '69 ed il '73 lavora ad alcuni progetti letterari e pubblica racconti e saggi su diverse riviste. Escono il racconto I tarocchi ed i saggi Osservare e descrivere e Problema da risolvere, pubblicati nella nuova edizione del testo scolastico La lettura.

Nel 1971 scrive Gli amori difficili per la collana "Centopagine" della Einaudi. Nel 1972 vince il Premio Feltrinelli conferito dalla Accademia nazionale dei Lincei, pubblica Le città invisibili che sarà finalista al XXIII Premio Pozzale 1974 per la letteratura. In quell'anno inizia anche una collaborazione con il "Corriere della Sera" che durerà fino al 1979, quando inaugura la serie di racconti del signor Palomar. Pubblica due lavori autobiografici, il primo, Ricordo di una battaglia, rievoca la dura ed umanamente ricca esperienza da partigiano. L'altro, Autobiografia di uno spettatore, particolare sguardo di Calvino sul cinema, diventa prefazione a Quattro film di Federico Fellini.

Nel mese di maggio del 1975 inizia un altro periodo di intensi viaggi. A maggio è in Iran dove, per conto della RAI, cura la preparazione di un programma radiofonico. L'anno successivo si reca negli USA, in Messico ed in Giappone, per una serie di incontri e di conferenze. Il signor Palomar in Giappone, racconto che pubblica nelle colonne del Corriere della sera, s'ispira a quei viaggi. A Vienna, nel 1976, viene insignito d'un importante premio letterario europeo, dal Ministero dell'Istruzione austriaco.

Nel 1979 pubblica Se una notte d'inverno un viaggiatore ed inizia la sua collaborazione con il giornale "La Repubblica". Chiude quasi completamente il suoi interventi di carattere politico e sociale, con l'amaro articolo L'apologo sull'onestà nel paese dei corrotti, pubblicato l'anno successivo sul quotidiano diretto da Eugenio Scalfari.

Gli anni '80 vedono Calvino, ritornato a Roma con la famiglia, prevalentemente alla ricerca lungo quel territorio che è il punto di confine tra letteratura e scienze, sempre ispirato all'amico francese Queneau. Ne cura l'opera Segni cifre e lettere e ne traduce la Piccola cosmologia portatile, redigendone anche la guida. S'impegna altresì nella stesura di testi teatrali, dove tenta d'inserire l'arte cosmologica e combinatoria.

Nel 1983 esce Palomar pubblicato da Einaudi. Per la casa editrice torinese cura anche l'introduzione ad America di Franz Kafka. A causa della seria crisi in cui versa l'Einaudi, nel 1984 è costretto a pubblicare presso Garzanti Collezioni di sabbia e Cosmicomiche vecchie e nuove.

Nel 1985, durante l'estate, Calvino lavora ad una serie di conferenze (Lezioni americane, pubblicate postume) che avrebbe dovuto tenere presso l'Università di Harvard. Colto da ictus il 6 settembre a Castiglione della Pescaia, viene ricoverato all'ospedale Santa Maria della Scala di Siena dove muore nella notte tra il 18 e il 19 settembre.

Sono usciti postumi anche i volumi Sotto il sole giaguaro, La strada di San Giovanni e Prima che tu dica pronto

In questa prima fase della sua produzione, collocabile all'interno del movimento neorealista, Calvino scrive il suo romanzo breve Il sentiero dei nidi di ragno e numerosi racconti raccolti nel volume Ultimo viene il corvo. Con queste opere Calvino mostra una lucida capacità rappresentativa della realtà che coniuga impegno politico e letteratura in modo spontaneo e leggero. In queste storie lo scrittore ligure per raccontare le storie della sua esperienza partigiana adotta un punto di vista oggettivo, tramite il quale i suoi ricordi diventano la misura della comprensione del mondo. In Il sentiero dei nidi di ragno l'intreccio è narrato dal punto di vista di Pin, un ragazzo, il protagonista del romanzo. Questa ricerca di oggettività, comunque, non scade mai in pura cronaca: è sempre presente la dimensione mitico-fiabesca che permette a Calvino di far intravedere la realtà sotto le spoglie del sogno. È proprio con quest'opera che Calvino dà l'avvio all'operazione di sdoppiamento dei piani interpretativi che contraddistingue la sua produzione: da una parte il livello puramente narrativo, semplice e comprensibile da tutti i lettori, dall'altra quello visibile solo dai lettori più smaliziati. Questa scelta è compiuta, all'inizio, su precise basi ideologiche, in seguito, con la contaminazione di forme colte e popolari,

Calvino mantiene la tecnica dello sdoppiamento dei livelli di lettura. Calvino da sempre era stato attirato dalla letteratura popolare, con particolare attenzione al mondo delle fiabe. Con Il visconte dimezzato, percorre sempre di più la strada dell'invenzione fantastica: l'impianto è ormai totalmente abbandonato al fiabesco e la narrazione procede secondo due livelli di lettura: quello di immediata funzione e quello allegorico-simbolica, in cui sono presenti numerosi spunti di riflessione (contrasto tra realtà e illusione, tra ideologia ed etica, etc.). In conclusione il romanzo invita i lettori all'equilibrio, in quanto non è possibile possedere la verità assoluta. Anche le altre due opere della trilogia I nostri antenati mostrano caratteristiche simili. Il protagonista de Il barone rampante è un alter ego di Calvino che ormai ha abbandonato la concezione della letteratura come messaggio politico. Il Cavaliere inesistente invece è velato da un cupo pessimismo, dietro al quale la realtà appare irrazionale e minacciosa.

Accanto alla produzione allegorico-simbolica, Calvino continua comunque un tipo narrazione che descrive la realtà quotidiana. Riprende ad esaminare il ruolo dell'intellettuale nella società, constatando la sua assoluta impotenza di fronte alle cose del mondo. Sempre a questa fase appartengono i racconti di Marcovaldo, in due serie: più aderente a strutture fiabesche la prima (1958) mentre le seconda (1963) tratta temi urbani con toni che a volte sfiorano l'assurdo. Nel 1963 esce anche La giornata di uno scrutatore, in cui Calvino narra le vicende di un militante comunista che, scrutatore in manicomio, entra in contatto con l'irrazionale ed entra in crisi Nella pubblicazione Sfida al labirinto (dell'esistenza) Calvino espone le sue idee riguardo la funzione degli intellettuali, i quali, secondo lui, devono cercare di comprendere il caos del reale per tentare di dare un senso alla vita.

Si è molto parlato dei rapporti di Calvino con la scrittura fantascientifica in opere come le Cosmicomiche o Ti con zero. Come lui stesso afferma, ha sempre amato leggere “science-fiction”, ma pensa che le sue storie siano costruite in modo diverso:mentre la fantascienza tratta del futuro, egli si rifà ad un passato remoto, una sorta di mito delle origini. Inoltre mentre lo scrittore ligure si serve del dato scientifico per uscire dalle abitudini dell’immaginazione, la fantascienza tende ad avvicinare ciò che è lontano.

Intorno agli anni sessanta Calvino aderisce ad un nuovo modo di fare letteratura, intesa ora come artificio e come gioco combinatorio. Per lo scrittore ligure è necessario rendere visibile ai lettori la struttura stessa della narrazione, per accrescere il loro grado di consapevolezza. In questa nuova fase produttiva Calvino si avvicina ad un tipo di scrittura che potrebbe essere definita combinatoria perché il meccanismo stesso che permette di scrivere assume un ruolo centrale all'interno della produzione; Calvino infatti è convinto che ormai l'universo linguistico abbia soppiantato la realtà e concepisce il romanzo come un meccanismo che gioca artificialmente con le possibili combinazioni delle parole: anche se questo aspetto può essere considerato il più vicino alla Neoavanguardia, egli se ne distanzia per uno stile ed un linguaggio estremamente comprensibili.

Questa nuova concezione di Calvino risente di numerosi influssi: lo strutturalismo e la semiologia, le lezioni parigine di Roland Barthes sull'ars combinatoria e la frequentazione del gruppo di Raymond Queneau (l'Oulipo), la scrittura labirintica di Jorge Luis Borges nonché la rilettura del Tristram Shandy di Sterne, che definirà come il progenitore di tutti i romanzi d’avanguardia del nostro secolo.

Già nel 1967, nella conferenza intitolata Cibernetica e Fantasmi, Calvino affronta la riflessione su un'idea di letteratura come pura combinazione formale, ma il primo prodotto di questa nuova concezione della letteratura è il Castello dei destini incrociati (1969), al quale in seguito verrà aggiunto La Taverna dei destini incrociati (1973), in cui il percorso narrativo è affidato alla combinazione delle carte di un mazzo di tarocchi. Un gruppo di viandanti si incontra in un castello: ognuno avrebbe un'avventura da raccontare ma non può perché ha perduto la parola. Per comunicare allora i viandanti usano le carte dei tarocchi, ricostruendo grazie ad esse le proprie vicissitudini. Qui Calvino usa il mazzo dei tarocchi come un sistema di segni, come un vero e proprio linguaggio: ogni figura impressa sulla carta ha un senso polivalente così come lo ha una parola, il cui esatto significato dipende dal contesto in cui viene pronunciata. L'intento di Calvino è proprio di smascherare i meccanismi che stanno alla base di tutte le narrazioni, creando così un romanzo che va oltre sé stesso, in quanto riflessione sulla propria natura e configurazione.

Questo gioco combinatorio è centrale anche nel successivo romanzo dello scrittore, Le città invisibili (1972), sorta di riscrittura del Milione di Marco Polo in cui è lo stesso mercante veneziano a descrivere a Kublai Khan le città del suo impero. Queste città però non esistono tranne che nell'immaginazione di Marco Polo, vivono solo all'interno delle sue parole. La narrazione quindi per Calvino può creare dei mondi ma non può distruggere l'inferno dei viventi che sta intorno a noi, per combattere il quale, come suggerito nella conclusione del romanzo, non si può far altro se non valorizzare quello che inferno non è.

Ne Le città invisibili l'esibizione dei meccanismi combinatori del racconto diventa ancora più esplicita che nel Castello dei destini incrociati grazie anche alla struttura stessa del romanzo, segmentata in testi brevi che si susseguono dentro una cornice. Le città invisibili infatti è composto da nove capitoli, ognuno all'interno di una cornice in corsivo nella quale avviene il dialogo tra l'imperatore dei Tartari, Kublai Khan, e Marco Polo. All'interno dei capitoli vengono narrate le descrizioni di cinquantacinque città, secondo nuclei tematici. Questa complessa costruzione architettonica è indubbiamente finalizzata alla riflessione da parte del lettore sulle modalità compositive dell'opera: in questo senso Le città invisibili è un romanzo fortemente metatestuale, poiché induce a produrre riflessioni su sé stesso e sul funzionamento della narrativa in generale.

L'opera più metanarrativa di Calvino, però, è sicuramente da considerarsi Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979). In questo romanzo, più che altrove, Calvino mette a nudo i meccanismi della narrazione, avviando una riflessione sulla pratica della scrittura e sui rapporti tra scrittore e lettore. Il libro è formato da dieci capitoli inseriti all'interno di una cornice: i capitoli in realtà sono dieci incipit di altrettanti romanzi. Nella cornice invece si narra della storia tra il Lettore e Ludmilla, la Lettrice, una vicenda tradizionale in cui non manca il lieto fine. La narrazione inizia con il Lettore che va a comprare una copia del romanzo di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore scoprendo però dopo poche pagine che il libro è difettoso, è composto cioè da tanti racconti tutti uguali; torna allora in libreria trovando Ludmilla nella sua stessa condizione. Da qui si dipana una storia inframezzata solo da inizi di romanzi: ogni volta che Ludmilla e il Lettore si imbattono in un romanzo al quale si appassionano, la narrazione si interrompe per i più svariati motivi. Alla fine il Lettore non riuscirà a completare la lettura dei romanzi ma finirà per sposarsi con la Lettrice alla quale, a letto prima di spegnere la luce, comunicherà che sta finendo di leggere Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. I dieci inizi di racconti da cui è composto il libro corrispondono ognuno ad un diverso tipo di narrazione. Mediante questo "esercizio di stile" Calvino esemplifica quali sono i modelli e gli stilemi del romanzo moderno (da quello della neoavanguardia a quello neo-realistico, da quello esistenziale a quello fantastico surreale). Alla base del racconto c'è dichiaratamente lo schema a incastro delle Mille e una notte, all'interno del quale Calvino colloca i suggerimenti e le sollecitazioni provenienti dal romanzo contemporaneo.

Se una notte d'inverno un viaggiatore è sostanzialmente un gioco in cui Calvino ostenta in modo quasi provocatorio i suoi "trucchi" di narratore, ma è un gioco serio, quasi drammatico, perché vuole denunciare l'impossibilità di giungere alla conoscenza della realtà. Il romanzo ha avuto un notevole successo in Italia e all'estero, specialmente negli Stati Uniti, dove è stato letto immediatamente come esempio di letteratura postmoderna.



Con la corrente surrealista ebbe a che fare anche il grande Pirandello....

Luigi Pirandello nacque a Cavusu (Agrigento) il 28 giugno 1867 da Stefano e Caterina Ricci Gramitto, in una famiglia di agiata condizione borghese dalle tradizioni risorgimentali. Dopo un'istruzione elementare impartitagli da maestri privati, andò a studiare in un istituto tecnico e poi al ginnasio ove si appassionò subito della letteratura. A soli undici anno scrisse la sua prima opera "Barbaro", andata persa. Per un breve periodo aiutò il padre nel commercio di zolfo, facendo anche esperienza diretta col mondo degli operai nelle miniere e sulle banchine del porto mercantile. Lo scrittore iniziò i suoi studi universitari a Palermo nel 1886, per recarsi in seguito a Roma, dove continuò gli studi di filologia romanza che poi dovette completare a Bonn su consiglio del suo maestro Ernesto Monaci e a causa di un insanabile conflitto col rettore dell'ateneo capitolino, in germania conobbe grandi maestri come Bucheler, Usener e Forster e si laureò nel 1891 con una tesi sulla parlata agrigentina "Voci e sviluppi di suoni nel dialetto di Girgenti"; il tipo di studi, però, gli fu probabilmente di fondamentale ausilio nella stesura delle sue opere, dato il raro grado di purezza della lingua italiana usata. Nel 1903, poco dopo le nozze, un allagamento in una miniera di zolfo, in cui Pirandello e la sua famiglia avevano investito il loro capitale, li ridusse sul lastrico, ciò accrebbe il disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di Pirandello, Maria Antonietta Portulano. Nonostante la moglie andasse sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, di cui Pirandello stesso era il bersaglio, egli acconsentì che fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico solo diversi anni dopo, nel 1919; la malattia della moglie lo indusse ad approfondire lo studio dei meccanismi della mente e della reazione sociale dinnanzi alla menomazione intellettuale, portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicanalisi di Sigmund Freud. Spinto dalle ristrettezze economiche e dallo scarso successo economico delle sue prime opere letterarie, Pirandello insegnò per qualche tempo come professore di stilistica all'Istituto superiore di Magistero. Il suo primo grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904 e subito tradotto in diverse lingue. In questo periodo collaborò con alcune riviste letterarie e anche col Corriere della Sera. La riflessione di Pirandello sul tema della follia appare memorabilmente in molte opere, come l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale inserisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda e cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi e delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali, porterà presto all'isolamento e, agli occhi degli altri, alla pazzia. Pirandello aderì al fascismo ma fu criticato più volte dalla stampa del regime per non aver scritto opere conformi allo spirito e agli ideali fascisti, pessimiste e prive di amor di Patria. Grande appassionato di cinematografia, mentre assisteva a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo "Il fu Mattia Pascal", si ammalò di polmonite. Il suo corpo ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti della sua vita non sopportò oltre, e Pirandello morì a Roma, il 10 dicembre 1936, lasciando incompiuto un nuovo lavoro teatrale, “I giganti della montagna”. Egli scrisse nel testamento le sue ultime volontà sul suo funerale. E' stato avvolto in un lenzuolo bianco e portato sul carro dei poveri. Il suo corpo è stato bruciato, e le sue ceneri sparse presso la sua casa natale.

Pirandello compose poesie per circa un trentennio, dal 1883 al 1912, le sue opere liriche presentano moduli espressivi e forme metriche tradizionali senza quindi lasciarsi inserire in alcun movimento letterario a lui contemporaneo. La prima raccolta “Mal Giocondo” (1889), che Pirandello aveva iniziato a scrivere a sedici anni, esprime lo scontro tra l'armonia classica e il presente illusorio e dissoluto. Le altre raccolte sono: “Pasqua di Gea” (1891) dedicata a Jenny Schulz-Lander, di cui si innamorò a Bonn, che mostra rimandi alla poesia di Carducci; le “Elegie Renane” (1895) modellate sull'influenza delle Elegie Romane di Goethe e la “Zampogna” (1901), in cui l'autore è più vicino alla poetica di Pascoli. Con l'ultima raccolta “Fuori di chiave” affiorano i temi umoristici e di pluralità dell'io. Scrisse "Uno, nessuno, centomila", romanzo che evidenziava come all'epoca l'uomo si confondeva facilmente con la massa, dimenticando come era in realtà, ovvero dimenticando se stesso.

L’opera di Luigi Pirandello, considerata, nella storia del primo Novecento, fra le esperienze conclusive, derivate dal bisogno di una lucida analisi dell’angoscia e della nevrosi dei tempi moderni, è profondamente educativa ed attuale per noi giovani, ai quali sarebbe opportuno mostrare un Pirandello "martire e confessore", come ben vide il Russo, della sensibilità contemporanea e di quello stato di alienazione dell’uomo d’oggi, una delle voci più valide del Decadentismo nel suo aspetto "positivo", in quanto coscienza e denunzia della crisi storica europea.

Pirandello vive e rappresenta questa crisi della coscienza contemporanea, dall’interno, occupando un posto a parte, perché è l’unico che, delle ragioni profonde (storiche, sociali, culturali e psicologiche) di essa, abbia una chiara consapevolezza; contrariamente a Pascoli e a D’Annunzio, protagonisti essi stessi di quella crisi, egli si può considerare veramente uno scrittore d’opposizione, in quanto in lui è presente la coscienza della condizione dell’individuo, che ci dà l’amara constatazione dell’assurdità della vita. Questo trasferimento della crisi novecentesca, dal piano storico a quello esistenziale, costituisce uno dei caratteri peculiari del Decadentismo, non italiano soltanto ma europeo: in Italia, Svevo e Pirandello e, più tardi, Ungaretti e Montale; fuori d’Italia, Musil, Kafka, Proust, Joyce.

Questo fenomeno appare sviluppato e chiarito, con ricchezza allucinante, soprattutto da Pirandello, da O’Neill e da quella letteratura degli "anni venti" che nel salotto parigino della Stein accoglie Dos Passos, Fitzgerald, Hemingway e viene confermato dalla partecipazione simultanea di tutti gli altri mezzi espressivi artistici: dalla pittura (Klee, Miró, Kandinsky, Boccioni...) alla musica con Schönberg.

Nè si possono disconoscere i notevoli messaggi che vengono raccolti in Italia e che attestano i cambiamenti in atto nel mondo: nel 1925 rompono gli schemi classici della regia il film di Chaplin "La febbre dell’oro" e quello di Eisenstein "La corazzata di Potemkin"; la prima mostra surrealista tende ad oltrepassare il reale evidente per giungere ad un concetto metafisico e Federico Garcìa Lorca, con esasperante esaltazione, raccoglie nelle Canciones la somma del dolore poetico -agonia e speranza- della trasformazione. E’ bene citare i suddetti fenomeni artistici soprattutto per vedere nella fase surrealista dell’ultimo Pirandello, non un’adesione ad una scuola ma un -parallelismo- con fatti contemporanei della cultura italiana e europea. Si ricordi Rosso di San Secondo, che conosce bene l’espressionismo tedesco; Massimo Bontempelli con il suo realismo magico; il surrealismo francese; Kafka, che racconta vicende con una intenzione metafisica ma mantenendosi sempre nell’apparente realtà; Alberto Savinio con il suo freudismo, il suo esistenzialismo e il suo surrealismo. Pirandello, già scrittore famoso, capo di una compagnia teatrale che gira il mondo, si trova a contatto con la cultura europea, mentre nei suoi viaggi ha avuto modo di conoscere le convulse città americane, tanto alienanti della condizione umana.

Perciò è sempre più nella natura che Pirandello vede un conforto ai nostri mali e nella morte l’unico scampo: vengono così a "sgretolarsi" maggiormente i moduli narrativi e teatrali naturalistici fino alla rottura estrema dei confini del -reale- per andare ben oltre, nella Magia, nella Favola, nel Mito, nel Sogno e nell’Invenzione surreale. Nelle ultime opere teatrali, La Nuova Colonia, Lazzaro, La Favola del figlio cambiato e I Giganti della Montagna, più che nelle opere precedenti, lo scrittore rivela in modo particolare, il carattere surrealista della sua opera, anche se con un messaggio ambiguo e con un’arte meno sicura di sè. Pirandello, tormentato sempre dai problemi umani e sociali, non riesce né ad evadere nel mondo mitico, in un’atmosfera di puro estetismo, né a diventare scrittore idilliaco e sereno, puro letterato e neanche a chiudersi nel suo solipsismo. La sua arte surrealista, ricca di interessi e di problemi umani, è però priva della tragica amarezza del secondo periodo e presenta una posizione meno polemica, meno disperata; si avverte una certa "fiducia" nella vita come in un tentativo di trovare un’arte nuova, che preluda alla pietà, un bisogno di rifugiarsi nel Mito, un Mito non astratto ma carico di problemi e di messaggi umani, che lo faccia diventare scrittore impegnato cioè un "vinto", lui, che prima cantava l’ansia della libertà umana da ogni tipo di vincolo e di etichetta. Si può, tutto questo, considerare "involuzione" come di uno scrittore che abbia ceduto al conformismo del tempo, secondo il pensiero di De Castris? Forse nel tentativo di un’arte serena ci potrebbe essere l’ultima illusione di Pirandello scrittore surrealista, come quella di molti suoi personaggi che, fuggendo dalla prigione sono poi costretti a prendere coscienza del loro dolore e dell’assurdità della loro condizione. Per comprendere tali fenomeni, a volte violenti, di trasformazione letteraria, bisogna considerare i tre caratteri fondamentali -scienza, sociologia e psicologia- che ne costituiscono la base propriamente storica. Da una parte, la realtà scientifica apporta nella narrativa il suo carattere possibilistico e, con le sue "incertezze, indeterminazioni", ha condotto l’uomo ad uno stato di profonda angoscia; dall’altra parte il progresso tecnico sembra proporre nuove ottimistiche soluzioni. Accanto alla scienza, è possibile rintracciare un altro carattere particolare della contemporaneità nella sociologia, che denuncia l’oppressione che l’individuo subisce dall’organizzazione sociale e nella psicologia che, nella scoperta dell’inconscio, vede la scissione dell’individuo. Se con Freud è ancora mantenuta l’unità fondamentale dell’io, con Jung il contrasto tra individuo e "maschera" giunge alla rappresentazione di un comportamento sociale patologico, sino alla deformazione fisica dell’uomo. La letteratura, risentendo l’influsso di queste scienze, le vivifica attraverso le opere di Kafka, Proust, Joyce e Pirandello, che sono fra gli esempi più notevoli e che esprimono come, negati e capovolti i grandi ideali dell’Ottocento, gli intellettuali si trovino di fronte a un vuoto ideale, originato dal processo involutivo della borghesia europea alla fine del sec. XIX che viene chiamato -imperialismo-. Per comprendere tale processo storico, si pensi, anche se in ben diversa prospettiva, a quello che generò il dissolvimento o il capovolgimento dei valori e quindi della letteratura del mondo pagano: solo con un nuovo contenuto ed una nuova potente idealità, la letteratura latina non più pagana, ma cristiana, continuerà ad essere grande. Dopo questi collegamenti interdisciplinari, essenziali in un periodo dove l’apparente confusione non è forse altro che un orientamento verso l’integrazione delle discipline, è necessario chiarire i motivi della scelta de "I giganti della montagna", opera particolarmente interessante, perché nasconde nuovi possibili sviluppi dell’arte pirandelliana, che se da un lato aiutano notevolmente a comprendere l’umanità propria e più vera di Pirandello -uomo-, dall’altro possono rischiarire di una nuova luce tutta la precedente sua opera, nella quale erano già presenti le sensazioni, le speranze e i desideri che appaiono ne "I giganti della montagna".

L’opera “I giganti della montagna” quindi è il punto di impatto di Pirandello col surrealismo. Al «mito» dei Giganti della montagna, rimasto incompiuto, Pirandello aveva cominciato a pensare fin dall'estate 1928, rilasciando anticipazioni alla stampa sulla nuova opera; ma solo tra il 1931 e il 1932 ne pubblicò un atto con il titolo I Fantasmi su due riviste, «La Nuova Antologia», e «Il Dramma». Un secondo atto, con il titolo definitivo I giganti della montagna, apparve in «Quadrante». Dell'ultimo atto rimane un abbozzo di «sedici righe tracciate su un mezzo foglio di carta formato commerciale». La ricostruzione che di quest'ultimo atto incompiuto ne ha fatta il figlio Stefano, sulla base delle confessioni paterne, figura nella prima edizione del «mito» nel vol. X delle Maschere nude. I giganti della montagna vennero rappresentati postumi il 5 giugno 1937, in occasione del Maggio Fiorentino, con la regia di Renato Simoni e l'interpretazione di Memo Benassi, Andreina Pagnani, Carlo Ninchi e Salvo Randone. L'azione di questo «mito» dell'Arte si svolge in un «Tempo e luogo indeterminati: al limite fra la favola e la realtà». Il Mago Cotrone, «un omone barbuto, dalla bella faccia aperta, con occhioni ridenti splendenti sereni», con in capo «un vecchio fez da turco», dimissionario dal mondo, «per il fallimento della poesia della cristianità», si è assegnata una singolare missione filantropica, quella di fornire l'alimento dei sogni a sei «scalognati», ospiti della misteriosa villa detta «La Scalogna», posta «agli orli della vita», in un'isola abbacinata dal sole. Il personaggio di Cotrone è la replica mitica e sublimata di quello di Bombolo (anche lui con un «berretto rosso da turco» in testa), l'«apostolo» della giustizia della novella La lega disciolta, difensore degli sfruttati dall'avidità padronale. Come il Mago, così alcuni «scalognati» sono riproposte di personaggi di precedenti testi pirandelliani. Il Nano Quaquèo deriva dal lampionaio sciancato della novella Certi obblighi; il nome della Sgricia proviene da quello della vecchia serva di un prete della novella In corpore vili, ma a lei è attribuita una vicenda che riguarda il personaggio di un'altra novella, Lo storno e l'Angelo Centuno; Maddalena ha i tratti degradati di una figura della memoria girgentina dell'autore, già delineata in un «appunto» pirandelliano. Gli altri sono Duccio Doccia, Milordino e Mara Mara. Cotrone offre ai suoi ospiti «una continua sborniatura celeste», inventa per loro la verità: «Tutte quelle verità che la coscienza rifiuta. Le faccio venire fuori dal segreto dei sensi». Alla villa «La Scalogna» arrivano, pellegrini d'arte allo sbando i resti della compagnia della Contessa: Ilse, detta ancora La Contessa; Il Conte, suo marito; Diamante, la seconda Donna; Cromo, il Caratterista; Spizzi, l'Attor Giovane; Sacerdote e Lumachi. Gli «scalognati» cercano di tenere lontano gli intrusi con sinistri effetti di luci e di suoni, «larghi fiati di luce, come lampi d'estate, accompagnati da scrosci di catene», e con apparizioni spettrali; ma Cotrone li incoraggia ad accogliere con generosità i comici sbandati. Ilse, la Contessa, giunge esausta, «coi capelli sparsi, color di rame caldo», distesa sul carretto di fieno trascinato dall'attore Lumachi. Di questa compagnia di teatranti, ora «affamati, randagi» il Conte s'era fatto impresario, sperperando il patrimonio per compiacere la moglie Ilse, Prima Attrice della compagnia. Ilse è dominata da un'idea rovinosa: portare sulle scene La favola del figlio cambiato (dramma in versi di Pirandello musicato da Gian Francesco Malipiero nel 1934) che un poeta, morto suicida, ha scritto per lei. La favola non ha incontrato il favore del pubblico e la compagnia s'è ridotta allo stremo, ma Ilse, sempre più invasata, non ha rinunciato al suo progetto. Nelle vicinanze della villa non c'è però alcun paese che disponga di un teatro e per la notte gli attori accettano l'ospitalità di Cotrone. Nel secondo «momento» a Ilse, rimasta nello spiazzo antistante la casa, il Mago mostra i prodigi del luogo; a un suo grido «la facciata della villa s'illumina d'una fantastica luce d'aurora», a un altro gesto appare il «languide sprazzo verde» delle lucciole. Cotrone spiega; così i fenomeni: «A noi basta immaginare e, subito le immagini si fanno vive da sé»; e proponi di rappresentare fra gli «scalognati» La favola del figlio cambiato, «come un prodigio che s'appaghi di sé». Ma la Contessa rifiuta perché l'opera del poeta, morto per lei, dovrà vivere in mezzo agli uomini. Nel terzo «momento» la villa riserva altre magiche sorprese. In un vasto stanzone, detto «arsenale delle apparizioni» , la parete di fondo a tratti si fa trasparente visualizzando i sogni e i pensieri degli ospiti, mentre dei fantocci, abbandonati goffamente in un angolo, all'improvviso si animano dando corpo a quei sogni e a quei pensieri. Il Mago rassicura Ilse: «Stia tranquilla, Contessa. È la villa. Si mette tutta così ogni notte da sé in musica e in sogno. E i sogni, a nostra insaputa, vivono fuori di noi». Cotrone per aiutarla si offre di far rappresentare la Favola nel paese dei Giganti che abitano sulla vicina montagna in occasione di una grande festa di nozze. I Giganti sono «gente d'alta e potente corporatura» dedita all'«esercizio continuo della forza» per la realizzazione di immani imprese che «non han soltanto sviluppato enormemente i loro muscoli, li hanno resi naturalmente anche duri di mente e un po' bestiali». Non nascondendo la difficoltà del tentativo, Cotrone prova ancora a persuadere Ilse a rappresentare la Favola tra loro: «È fatta proprio per vivere qua, Contessa, in mezzo a noi che crediamo alla realtà dei fantasmi più che a quella dei corpi». E gliene vuole fornire un saggio invitandola a recitare un brano. Ed ecco che alle prime battute dell'Attrice, attratte ed evocate dalle parole del testo, sulla scena che «s'illumina come per un tocco magico», compaiono due figure femminili del dramma che prendono a dialogare con lise, come uscite dalla fantasia del poeta. Il prodigio d'arte non basta a convincere la Contessa, e il Mago si dispone ad accompagnarla insieme con gli attori dai Giganti. A questo punto risuona potente, «fra grida quasi selvagge», il frastuono della cavalcata dei Giganti che scendono nel paese per la celebrazione delle nozze. I muri della villa tremano, gli Attori sono atterriti. Si conclude qui il testo compiuto da Pirandello. Gli avvenimenti del quarto «momento» si ricavano dalla testimonianza del figlio Stefano, secondo il quale la rappresentazione della Favola avveniva davanti ai rozzi servi dei Giganti che, inferociti da uno spettacolo tanto lontano dalle loro possibilità di comprensione e di gradimento, si ribellavano aggredendo gli Attori e la Prima Attrice, il cui corpo agonizzante veniva portato via dai compagni, «spezzato come quello di un fantoccio rotto». Con questo sacrificio doveva compiersi quella che Pirandello, in una lettera a Marta Abba, definiva «la tragedia della Poesia in questo brutale mondo moderno».

Dopo la "prima" postuma, nel dopoguerra Giorgio Strehler ha curato tre storici allestimenti dei Giganti della montagna con il Piccolo Teatro di Milano, riprendendo la ricostruzione del finale, non scritto da Pirandello, dalla testimonianza del figlio Stefano. La messinscena del 1947 si avvaleva dell'interpretazione di Lilla Brignone e di Camillo Pilotto, le musiche erano di Fiorenzo Carpi; nel 1966 i ruoli principali erano affidati a Valentina Cortese e a Turi Ferro, le scene e i costumi a Enzo Frigerio; nel 1994 i protagonisti erano Andrea Jonasson e Giancarlo Dettori. In occasione di quest'ultima ripresa Giorgio Strehler aveva annotato: «C'è un tema profondo, ricorrente, nella grande cultura greca-europea: quello dei mitici Giganti che vogliono impadronirsi del potere celeste, universale. Ma vengono sconfitti, proprio quando sembrano aver vinto. Questa radicata, inquietante presenza tocca l'ultimo Pirandello che in quest'opera incompiuta, la rappresenta nel teatro e nella poesia e la innesta dentro il tema più generale della Rappresentazione».

Quale è il collocamento dell’opera nella produzione di Pirandello? Per una più chiara comprensione dello sviluppo dell’opera drammatica pirandelliana possiamo distinguere quest’ultima in tre periodi che rivelano, nella loro gradualità, un allargarsi degli orizzonti artistici ed umani dell’autore. Il tipico personaggio pirandelliano del primo periodo (Pensaci, Giacomino!, Lumie di Sicilia, Liolà, Il berretto a sonagli) è il professor Toti (Pensaci, Giacomino!) che rivela la frustrazione dell’individuo, impotente ad agire; nella seconda fase del teatro pirandelliano (Giuoco delle parti, Sei personaggi in cerca d’autore, Enrico IV, Vestire gli ignudi) il problema si allarga al rapporto con la realtà, generando non un perenne stato di ansietà proprio delle commedie del primo periodo, ma uno stato di schizofrenia, in cui il personaggio si chiude energicamente in se stesso e, diventando l’anormalità sistema di vita, si spezzano i legami tra realtà e irrealtà. Si preannuncia così l’ultimo periodo (La nuova colonia, Lazzaro, Quando si è qualcuno, La favola del figlio cambiato, I giganti della montagna) in cui sono del tutto infranti i confini fra realtà e sogno e, soprattutto ne "I Giganti della montagna", di cui "La Favola del figlio cambiato" è da considerarsi un lavoro preparatorio, ogni cosa appare sfumata in una aura fantastica, spesso spettrale, dove la dialettica pirandelliana si trasforma quasi in un canto a volte sereno e fiducioso, come si cercherà di evidenziare nel corso di questo lavoro. L’autore chiama -Miti- queste ultime sue opere, perché sono -utopie-, frutti di pura fantasia, rappresentazioni che esprimono la favola e il sogno; Miti, che Pirandello intende mettere in scena, facendo rivivere nel teatro moderno le più genuine e ataviche manifestazioni di quella funzione religiosa ed artistica, capace di turbare e anche di "scuotere" lo spettatore.

Quale momento particolare del periodo surrealista, quest’opera rappresenta? L’ultima opera teatrale di Pirandello nasce da una crisi profonda dello scrittore e della sua arte: il personaggio pirandelliano, scoprendo la propria inadeguatezza nell’affrontare la realtà, si isola e questo isolamento lo conduce sempre a una sconfitta che si verifica ancor prima della lotta. Già in "Quando si è qualcuno" lo scrittore protagonista, pur restando prigioniero del personaggio che gli altri hanno costruito, per cui non gli resta che morire come poeta e rinascere come uomo, sente vivo il bisogno della libertà inventiva, della giovinezza, della speranza, ideali che non riesce a perseguire, perché l’arte è ormai morta. Questi temi troveranno la loro catastrofe e la conseguente catarsi ne "I Giganti della montagna", in cui culmina quello che fu definito il periodo surrealista del teatro pirandelliano, in quanto il surrealismo genera una pura opera di fantasia; crea miti, dà corpo alle allucinazioni e ai presentimenti, rifà il clima dei sogni, tentando di esprimere l’inesprimibile. "I Giganti della montagna", rappresenterebbero il momento della sconfitta dell’arte e, in un certo modo, la sconfitta metafisica di Pirandello, che vede fallita la sua candida illusione di una consolazione surreale, di un capovolgimento mistico della tragedia dell’uomo... anche se l’autore sembra "criticare" il Mito moderno, il dominio dell’artista (Ilse) sulle masse, che comporterebbe la passività delle masse rispetto al "sublime" messaggio dell’arte. Il poeta che aveva teorizzato un’arte "specchio per la vita", non poteva concludere nell’evasione surrealista il suo involontario soggiorno sulla terra. "Né le condizioni storiche -il momento dell’oppressione- e della violenza, l’annunziarsi cupo di una nuova tragedia europea- erano mutate al punto ch’egli potesse capovolgere in una più realistica speranza il suo sentimento del mondo".

Trama dell’opera con brevi notazioni critiche- Ne "I Giganti della montagna", opera altamente simbolica, la contessa Ilse (l’autore stesso), prima attrice di una compagnia di teatranti poveri ma inebriati di poesia vuole rappresentare l’opera "La Favola del figlio cambiato" (simbolo della poesia e dell’anima delle cose), a ricordo del giovane autore, morto suicida perché da lei respinto. Dopo molto peregrinare e l’incomprensione di tutti, Ilse e i suoi attori arrivano a "La Scalogna", una villa abbandonata per la presenza di spiriti ed ora occupata dal mago Cotrone, capo di un gruppo di poveracci, gli Scalognati, che vivono tra la favola e la realtà, nelle magie evocate da Cotrone, brav’uomo ma anche gran ciarlatano, il quale accoglie benevolmente quei girovaghi "scalognati" come lui. Quando la compagnia di Ilse decide di partire per recitare la favola altrove, fra gli uomini, Cotrone li accompagna dai "Giganti della montagna", padroni del mondo d’oggi, coloro che producono ricchezza e rappresentano la tecnica moderna, che vivono in enormi e fredde costruzioni della città tentacolare, sulla Montagna che sta sopra la "Scalogna". A questo punto, il Mito s’interrompe ma, secondo le intenzioni di Pirandello morente, pare che i Giganti rifiutassero l’offerta di Ilse della rappresentazione della "Favola" e, tutti presi ed -intrappolati- dalla loro razionalità e incapaci di comprenderla, la facessero recitare davanti ai loro servi, gli operai delle grandi costruzioni, che non la capiranno neanche e Ilse morirà o di dolore o uccisa dai servi come il musico greco Orfeo: l’arte e la poesia subiscono, sconfitte, la rigida logica della tecnica e dell’utilità concreta e immediata, logica che lacera ogni nobile ideale umano come la poesia, la fede e l’amore. Sviluppi che quest’opera annunzia con una scelta di temi e di motivi che evidenzino il particolare surrealismo di Pirandello- Ne "I Giganti della montagna", la coerenza "ideologica" dell’arte pirandelliana subisce un notevole sdoppiamento: accanto all’individualità destinata a sparire per la brutalità e la violenza di forze cieche, appaiono come protagonisti, entità collettive, personaggi corali ai quali spetta "l’ultima parola", mentre si dissolve totalmente, come già precedentemente affermato, il rapporto contrastante, dialettico, drammatico fra arte e vita, realtà e sogno, rapporto che nelle opere precedenti aveva generato spesso una convulsione, una tale drammaticità da far porre a volte l’opera pirandelliana in un’atmosfera che non era quella in cui respirava il più autentico Pirandello. Anche se l’arte, come momento privilegiato, è destinata a scomparire, potrà forse essere sostituita dalla creatività generale, da un mondo che si faccia guidare da un senso primitivo, spontaneo del ritmo e della legge dell’armonia e della bellezza. Gli sviluppi nuovi, rivoluzionari, che è necessario considerare per una vera comprensione di tutta l’opera pirandelliana, si possono vedere in questa grande utopia, presente nelle parole stesse con cui Stefano Pirandello, su indicazione del padre morente, ricostruisce il finale dei Giganti della montagna: "Non è, non è che la poesia sia stata rifiutata; ma solo questo. Che i poveri servi fanatici della vita, in cui oggi lo spirito non parla, ma potrà pur sempre parlare un giorno, hanno innocentemente rotto come fantocci ribelli, i servi fanatici dell’arte, che non sanno parlare agli uomini perché si sono esclusi dalla vita, ma non tanto da appagarsi soltanto dei propri sogni, anzi pretendendo di imporli a chi ha altro da fare che credere in se stessi". A questo punto, è opportuno riportare particolari brani o semplici espressioni del testo, da cui evidenziare gli sviluppi intravisti in quest’ultimo lavoro pirandelliano, sviluppi che si possono ritenere notevolmente positivi e saturi dei germi di un’arte di più ampio respiro, di una coralità di sentimenti e di un senso religioso di cui gli individui pirandelliani erano privi. Per esemplificare queste impressioni di noi ragazzi, il personaggio che prenderemo in considerazione ed in cui si può notare tutta la positività del sentire pirandelliano, è Cotrone, detto il Mago, che mescola realtà e sogno, in un surrealismo "umano, favoloso" per raddolcire gli uomini, come nelle Favole per i bambini, dove non c’è disperazione ma desideri realizzati nel "Mito". Dalle parole di Cotrone traspare sempre una saggezza, una verità profonda ed una tranquillità, derivate non solo dalla scelta spontanea di un modo di vivere libero dagli schemi sociali ma soprattutto dalla conseguente certezza di aver finalmente trovato la risoluzione dell’eterno contrasto tra vita e forma, tra verità e apparenza: c’è un solo modo di rappresentare la verità senza che questa venga respinta e cioè mostrarla come un Mito, che vivendo dentro di noi, dà origine ad un surrealismo con radici profonde nella nostra più intima e nascosta realtà; un Sogno, un fantasma destinato, in quanto tale, a scomparire e a perdere la crudezza e la fissità paurosa, che sono i caratteri propri del concetto di verità assoluta, in cui non c'è posto per il soggettivismo. Bisogna dunque imparare ad inventare la verità, sconvolgendo i piani della realtà e del sogno. Così la verità, quasi mescolandosi e fondendosi con l’apparenza, con l’illusione, può facilmente mostrarsi senza timore di essere respinta dagli uomini saggi; è nel Mito, che confluiscono tutte le verità rifiutate dalla coscienza e, nelle parole di Cotrone, con immagini altamente poetiche e suggestive, il Mito sfuma in un dolce paesaggio spesso "scintillante" e colorato, dove si dissolve la realtà apparente, perdendo la sua concretezza. Nel Mito, Pirandello potrebbe anche esprimere il bisogno umano di "volare", liberi da tutto ciò che ci lega così fortemente e pesantemente ai bisogni concreti e spesso inutili, ed anche quello di tendere verso Mondi arcani, puri, dove non esistere per quello che si è, ma per quello che si sogna di essere, "padroni di niente e di tutto". E’ nel mito che l’uomo ha la possibilità di diventare bambino, natura, perché è nel Mito che si può ancora rintracciare la Natura primigenia, vergine, pura, per poter dare gusto alla vita con la semplicità e la "mancanza di tutto". Spesso Cotrone parla della Libertà dei Sogni: "facciamo i fantasmi": così quella libertà, che prima si esprimeva nella Pazzia, è ora nel Mito, dove l’anima è come l’aria... Aiutandoci a diventare fanciulli pieni di "maraviglia", il Mito dà all’uomo la possibilità e la capacità di provare e di infondere nella Realtà la Magia e l’Incanto, per trasformarla e renderla vivibile, non subendo passivamente ma "creando"... fino alla demenza. Da ciò, scaturisce il dissolvimento dei contrasti che affliggevano tutti gli individui pirandelliani, perché sono stati ormai spezzati i confini fra realtà e sogno e l’una viene accolta nell’altro o viceversa. In Cotrone, si nota pure "incarnato" l’ideale che l’uomo dovrebbe perseguire: una vita priva di schemi prestabiliti, nella quale la gioia esista per se stessa o in noi, senza camuffarsi nel bisogno che noi abbiamo degli altri o viceversa. Questo Mago, e ciò aggiunge un’altra nota positiva al suo carattere, chiarifica la funzione vitale dell’arte, della poesia che è quella di dare coerenza ai sogni che, a nostra insaputa, vivono fuori di noi, per come ci riesce di farli, incoerenti: in questa fede nella sopravvivenza dell’arte, anche se in un mondo di fantasia pura, diventa valido il messaggio di Pirandello, che a molti è apparso disperato. Cotrone ci rivela ancora che I giganti sono simbolo degli uomini che, costretti a vivere in un mondo spesso ostile al sentimento, alla semplicità, all’umanità più vera, sono diventati duri, ottusi, orgogliosi perché convinti di essere padroni del loro destino, per cui lo stesso Cotrone, da profondo saggio conoscitore dell’animo umano, ritiene che facendo appello non alla loro coscienza ma alle loro abitudini di vita, ai loro schemi, si possano attirare all’arte. "Gonfiati dalla vittoria offrono più facilmente il manico per cui prenderli: l’orgoglio, lisciato a dovere, fa presto a diventare tenero e malleabile". Ma i risultati, disastrosi, dimostreranno che la magia, la favola, la poesia come espressione di verità, di genuini, primitivi e atavici sentimenti può essere compresa solo da uomini, che si siano staccati dal mondo abitudinario, rifugiandosi in un luogo, dove tutto è possibile e dove si mescolano senza stridori, realtà e sogno. In Cotrone e nelle sue stupende e fiduciose espressioni, si può pure intravedere il Mito, il ritorno alla primitività, alla ingenua credulità degli antichi, del popolo, dell’adolescenza che tanta importanza riveste nell’opera di Cesare Pavese e che dimostra come la lezione del Vico, anche se variamente interpretata, sia sempre viva. La saggezza umana e l’accuratezza del pensiero di Cotrone rivelano anche un notevole intuito psicologico e pedagogico là, dove egli insiste sul bisogno e sulla necessità che l’uomo contemporaneo ha di fede, di credulità, di ingenuità, di minore complessità, sentimenti, questi ultimi, che invece si riscontrano nel bambino il quale, ancora poco fissato negli schemi sociali, spontaneamente riesce a dare serietà e fondamento al gioco e all’immaginazione, la cui mancanza ha reso l’uomo come i Giganti: "...Impari dai bambini, le ho detto, che fanno il gioco e poi ci credono e lo vivono come vero!". (Si pensi al pedagogista Federico Fröbel e alle sue teorie sul gioco). A conferma della positività e della validità intravisti negli sviluppi annunziati da quest’opera, è necessario soffermarsi su qualche periodo o frase che evidenziano il senso religioso, di una religiosità quasi istintiva, dove Dio viene incontro alle esigenze spontanee, naturali e semplici dell’uomo: "Chi ti può impedire il sonno, quando Dio che ti vuol sano te lo manda, come una grazia, con la stanchezza? Di quell’uomo che spesso complica e smonta i desideri originari per raggiungere il decoro, l’onore, la dignità, la virtù ...Cose tutte che le bestie, per grazia di Dio, ignorano nella loro beata innocenza". Questa religiosità non può essere catalogata in nessuna religione ufficiale, ma appare presente in tutta la natura e negli esseri che in essa e con essa vivono e, superando il senso panico dannunziano, che a volte ha qualcosa di angusto, di limitato ed in cui spesso si annulla il valore umano più intimo e più vero, rivela un senso di spaziosità, di religiosità cosmica che ritroviamo in Giacomo Leopardi ed anche, sebbene in una dimensione particolare, in Cesare Pavese. "...Liberata da tutti questi impacci, ecco che l’anima ci resta grande come l’aria piena di sole o di nuvole, aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti, superflua e misteriosa materia di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze". (Si pensi all’approfondimento vario ed interessante che di questa materia ha dato Cesare Pavese). Possibili messaggi intravisti in tale opera, con qualche personale considerazione- Dopo i drammi e le convulsioni dei personaggi e delle situazioni delle opere precedenti, ci piace sottolineare il senso di quiete, di pace, di speranza, di purificazione che traspare dal coro, durante la sfilata delle anime del Purgatorio "Con l’armi della pace, -quando tutto tace,- fede e carità, è Dio che porta aiuto, a chi sia combattuto... a chi ramingo va...". Come non ricordare Dante, Manzoni e l’immensa misericordia divina! Sebbene con le dovute limitazioni, si potrebbe celare il bisogno di un’esigenza cristiana, religiosa, spirituale, anche nelle parole di Cromo che esprime il continuo desiderio di vivere una vita libera dal corpo, visto come prigione e come morte, mentre la vera vita è eterna, è un incessante fluire. E’ interessante ancora precisare che in Ilse si può vedere l’umanità quale effettivamente è, la realtà, l’uomo che finge, che vorrebbe apparentemente mostrarsi come un genio, un artista dal sentimento delicato e puro, ma che in effetti non riesce a liberarsi del relativo bisogno del giudizio degli altri: "Vive in me; ma non basta! Deve vivere in mezzo agli uomini!" Ancora poche note, con le quali speriamo di avvalorare la positività degli sviluppi che tale opera annunzia, sui Fantocci, grazie ai quali viene in buona parte a sfaldarsi una certa critica, che vuole un Pirandello "cervellotico": quella dialettica intellettualistica, di cui tanto si è parlato, non rappresenta la caratteristica dell’opera pirandelliana ma l’Autore la riscontra negli uomini, mentre egli scopre il vero senno nei reietti della società (i Fantocci), ricollegandosi, in questo, alla concezione manzoniana ma più ancora a quella verghiana; questi fantocci-reietti, che con le loro parvenze umane "incarnano" la dissoluzione dei confini fra realtà e sogno e che si animano alla lettura della Favola, mostrano che ciò che importa è la Magia, che permette alla realtà di essere rappresentata e vissuta, facendoci credere alle cose e subito viverle, come la fantasia del poeta che dà vita alla sua opera. I fantocci, in quanto privi di legami ferrei con la società, riescono a vivere una vita libera, distaccata, da cui sono in grado di giudicare vano ed errato l’affannarsi umano: le loro parole, velate da una leggera ironia, provengono da un mondo che , in quanto fantastico, di mito, non viene accolto come veritiero dall’uomo. "Come se le complicano, Dio come se le complicano le cose! - E poi finiscono per fare - quello che avrebbero fatto naturalmente- senza tante complicazioni!". E’ invece nel Mito la vera realtà, come quando Ilse afferma che si perde la realtà per ritrovare il sogno. Con una lettura attenta del testo, sgombra dai continui riferimenti spesso fatti dai critici alle opere precedenti, si potrebbe riflettere meglio sui nuovi sviluppi che quest’ultima opera di Pirandello annunzia ed ancora sul messaggio dell’Autore, a volte cupo, ma mai privo di fede e di speranza in un cambiamento o miglioramento dell’umanità che, forse in condizioni storiche più favorevoli, riuscirà finalmente ad ascoltare se stessa; servendosi del Mito per ritrovare l’autenticità dei bisogni profondi e naturali, lasciandosi andare e prendere dai pensieri più veri, creando noi stessi la realtà, che è dentro di noi, con le parole, che materializzano i nostri pensieri e sogni, sogni che possono determinare quindi la realtà. Nel Sogno si vive, liberi dal corpo, senza che noi ce ne accorgiamo, come dirà Cromo: "Fuori di noi! Stiamo sognando! Avete capito? Siamo noi stessi, ma in sogno, fuori del nostro corpo che dorme là". Confondendo e cercando la realtà nel Mito, Pirandello esprime forse l’inutilità delle nostre azioni e reazioni e la conseguente necessità di rientrare in noi stessi. Abbiamo ritenuto opportuno nel lavoro, trascrivere e analizzare la conclusione de "I Giganti della montagna"; dopo che Ilse è stata dilaniata dai servi dei giganti, questi ultimi si scusano dell’accaduto con un congruo indennizzo "...Il Conte ...dice di sì, accetterà: e impiegherà il prezzo di quel sangue per edificare una tomba illustre e imperitura alla sua sposa. Ma si sentirà che egli, pur piangendo e protestando i suoi nobili sensi di fedeltà alla morta poesia, s’è a un tratto come alleggerito, come liberato da un incubo; e così è Cromo con gli altri attori..." Pirandello <<...martire e confessore>> (Russo) dell’angoscia che divora l’anima dell’uomo contemporaneo, sa che è arduo per quest’uomo, tutto preso dal suo orgoglio, non solo superare il baratro penoso delle sue manie, della sua prepotenza, della sua superbia, ma anche ammettere e perseguire ideali di fede, di sentimento, di spiritualità, tali da richiedere il sacrificio di tutti i beni materiali o degli schemi fissi, abitudinari. Quindi, la compagnia si sente "alleggerita" perché così s’incanalerà nel ritmo della vita sociale; priva sì, di grandi idee ma anche di traumi e di cambiamenti tali da richiedere una continua esposizione ai pericoli. Ricordando la lezione freudiana, è chiaro che i "traumi" rimangono ugualmente ma sono intimi, subcoscienti, tenuti nascosti e continuamente trattenuti dalla forza della coscienza; solo raramente esplodono, originando la pazzia con conseguenti atti inconsulti e apparentemente inspiegabili. A questo riguardo, ne "I Giganti della montagna", dove è presente il Mito dell’Arte, ma non si vede chiaramente la vittoria del Mito, si evidenzia una concezione negativa della società (che fa a pezzi Ilse, simbolo dell’arte), anche se, nelle ultime parole di Pirandello morente al figlio Stefano, si può intravedere una risposta: "C’è, mi disse sorridendo, un olivo saraceno, grande, in mezzo alla scena: con cui ho risolto tutto". Si potrebbe pensare ad un ritorno alla terra natale, ad una poesia che, nonostante la durezza dei cuori umani e le incomprensioni, ribadisca il suo potere e la sua disponibilità a vivere nella "realtà meravigliosa in cui viviamo, alienati da tutto, fino agli eccessi della demenza".

Il Mito, dunque, il Sogno, questo Mondo del tutto "surreale", in cui l’Autore fa vivere i suoi ultimi personaggi, ha veramente fatto intravedere a Pirandello un’evasione, un conforto, uno spiraglio di luce possibile...?





Tra queste due posizione, il surrealismo e il realismo magico si inserisce, infine, Enrico Morovich scrittore, poeta, artista ed esule. Uomo della generazione di poeti, artisti e letterati che ruota attorno alle città della mittleuropa, in particolare a Trieste, profondamente legato alla sua terra dorigine, a Fiume, la sua città, la sua memoria. Nasce a Pecine, sobborgo di Fiume, il 20 novembre 1906, ma nellestate del 1950, a seguito delle opzioni sancite dal trattato di pace del 1947, parte profugo per lItalia lasciando Fiume per sempre. Enrico Morovich lo scrittore dei Miracoli quotidiani, dove la memoria e la fantasia lo legano inscindibilmente a filo doppio alla piccola terra in cui visse quarantanni e pi2, alla terra che ha dovuto perdere con amarezza e rimpianto. Proprio la raccolta di racconti che porta il titolo Miracoli quotidiani lopera pi significativa dello scrittore fiumano; uscita nel 1988 in un volume di Sellerio, raccoglie in realt ben tre raccolte: la prima, del 1936, stampata nelle edizioni di Solaria dal

titolo Losteria sul torrente, una seconda, del 1938, con il titolo Miracoli quotidiani per l’editore Parenti a Firenze e la terza dello stesso editore, Ritratti nel bosco, del 1939.









P.S. Stéphane Mallarmé (Parigi, 18 marzo 1842 - Valvins, 9 settembre 1898) è un poeta francese appartenente al movimento dell’ ermetismo e non a quello del surrealismo…
anonymous
2007-05-29 06:46:03 UTC
certo


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