John Howard, il primo ministro australiano che sbeffeggiava i teorici del riscaldamento globale e rifiutava di incontrare Al Gore per una discussione sulle conseguenze dell’effetto serra, ha invitato i suoi concittadini a pregare. Se entro sei settimane non pioverà , l’Australia dovrà bloccare fino al maggio 2008 l’irrigazione dei campi, l’unica misura che potrà consentire alla gente di avere ancora un po’ d’acqua per bere, lavarsi e cucinare. Se Dio non ascolterà le preghiere di Howard, saranno bloccate le chiuse del bacino dei fiumi Murray e Darling, che produce il 40 per cento del cibo dell’Australia e che è grande come Francia e Spagna messe insieme. Milioni di alberi da frutta e di ulivi moriranno, con le piante di riso e di cotone, gli agrumi, le mandorle, i vigneti. Moriranno le pecore e le mucche, e circa 50 mila farmers dovranno lasciare le fattorie che abitano da generazioni in quella che, agli emigrati che la colonizzarono all’inizio dell’800, sembrava una terra protetta dal cielo. Per la prima volta, gli effetti del riscaldamento globale si abbattono in modo devastante su di una nazione sviluppata, una delle più potenti e progredite del mondo. John Howard, come molti altri, pensava che siccità e carestie fossero una prerogativa del Corno d’Africa, che mai ci avrebbero colpito nelle nostre confortevoli case.
Insieme a George Bush, è stato l’unico leader di un paese industrializzato a non firmare il protocollo di Kyoto, permettendo all’Australia di restare in testa alla classifica mondiale del consumo di energia e di emissioni di CO2 per abitante e di progettare come se niente fosse nuove centrali a carbone. Sono bastati sei anni di scarse precipitazioni, aggravate dagli ultimi terribili sei mesi, a mettere il paese in ginocchio. Se gli alberi moriranno, ci vorranno da cinque a dieci anni prima che nuove piante siano in grado di produrre frutta e lo stesso vale per i vigneti e molte altre coltivazioni. I prezzi dei generi alimentari stanno già salendo e i danni per l’economia australiana saranno enormi. Il bacino del Murray-Darling era stato indicato poche settimane fa dalla Fao come uno di quelli più a rischio tra i grandi fiumi del mondo.
Nel rapporto si denunciavano la cattiva gestione idrica che portava ad uno spreco d’acqua e l’evidente brusco calo della portata dei due fiumi dovuta all’evaporazione. La riduzione negli ultimi anni del 60 per cento dei raccolti e i suicidi di decine di agricoltori che avevano perso tutto hanno lasciato il governo insensibile, fermo a scrutare se nel cielo fosse in arrivo qualche nuvola che avrebbe risolto tutto. Solo il mese scorso, a pochi mesi dalle elezioni federali, è stato approvato un piano per centralizzare la gestione dei fiumi (che era affidata a quattro stati diversi), per coprire i canali e ridurre gli sprechi. Se non pioverà , il piano, già presentato con drammatico ritardo, non servirà a nulla. Howard ha annunciato che invierà la polizia e l’esercito lungo i fiumi, per garantire che la poca acqua riamasta arrivi alle case di Canberra, Adelaide e Melbourne. La settimana scorsa, il segretario agli Esteri inglese, Margaret Beckett, aveva presentato al Consiglio di sicurezza dell’Onu un rapporto nel quale si sottolineava il pericolo di conflitti armati dovuti al riscaldamento globale a causa della mancanza d’acqua, di cibo e di terre coltivabili. Nel Darfour, un conflitto già devastante è stato aggravato dalla lotta tra arabi e africani per la conquista dell’acqua disponibile e anche il governo australiano si prepara a quanto pare ad affrontare una simile emergenza. In Australia sta arrivando l’autunno, che dovrebbe placare la forza del Niño, la corrente del Pacifico considerata responsabile della siccità . Ma tutti gli esperti sono concordi che dovrà piovere molto a lungo per rimediare all’attuale situazione e le previsioni non sono favorevoli. Rimasta immobile per sei anni ad aspettare che finalmente le stagioni tornassero come prima, l’Australia rischia di diventare un drammatico simbolo per tutte le altre nazioni industrializzate del mondo e per le loro politiche ambientali. Come ha scritto con un gioco di parole l’Independent di Londra, quello che sta accadendo in Australia non è «global warming» (riscaldamento globale) ma «global warning»: un avvertimento per tutti.
Ci voleva la peggiore siccità degli ultimi cento anni per piegare i farmers australiani. Pionieri, gente tosta, uomini - e donne - abituati a vivere nell’isolamento dell’outback, a viaggiare giorni per farsi un giro di vetrine in città , a macinarsi centinaia di chilometri in jeep solo per scambiare due chiacchiere con i vicini, abiutati a contare solo su se stessi. Ma capaci di singhiozzare come bambini raccontando alla radio la disperazione di vedere le loro terre, i pascoli del loro bestiame inaridirsi, riempirsi di crepe riarse, avvizzire.
Uno spettacolo così duro da sopportare che molti non lo reggono. Ogni quattro giorni se ne suicida uno, dicono i servizi sociali. Ormai è allarme nazionale: il primo ministro John Howard ha annunciato lo stanziamento di 350 milioni di dollari australiani (263 milioni di dollari statunitensi). Non solo per gli aiuti materiali a un’economia a rischio di collasso, ma anche per pagare una squadra di sessanta psicologi. Una variante freudiana dei mitici flying doctors che andranno, di fattoria in fattoria, a rincuorare agricoltori e allevatori.
Con delicatezza, perché sono vecchia scuola, abituati ad affrontare le avversità a muso duro; quando sono davvero nei guai faticano a confidarsi, a chiedere aiuto, a rassegnarsi. Piuttosto intensificano le visite al pub, diventano scontrosi e violenti, quando non ce la fanno davvero più, vanno ad aggiornare le statistiche. Impietose: ogni anno sono circa 2000 gli australiani suicidi, ma la media fra gli agricoltori è il doppio di quella nazionale, mentre i depressi accertati sono oltre 300 mila. Per contro, nell’interno vive appena il 10% della popolazione. Va avanti così da cinque anni, questo è il sesto, nella terra che fu l’Eden dei primi colonizzatori, già provata ma non vinta dal disboscamento, dall’allevamento intensivo, dall’introduzione di specie animali e vegetali aliene e invasive.
Un disagio crescente, invincibile, che si aggiunge alle difficoltà storiche della vita rurale in Australia. Che si chiamano isolamento, alcolismo, disagio familiare, fatica. Una vita da cui i giovani scappano, sempre più numerosi. Stanchi di seguire le lezioni via radio (ultimamente via internet), di vedere coetanei, concerti e discoteche solo in tv, di sposarsi con il figlio/a della famiglia più vicina perché non conoscono nessun altro e comunque nessun altro verrebbe mai a stare lì. Ora, con la siccità , è sempre peggio, perché non c’è nemmeno più il miraggio dei soldi sicuri a consolarli. Che l’interno, il pur amatissimo e decantato outback, il Far West aussie, fosse un inferno da frequentare solo nei weekend, la maggior parte degli australiani l’ha sempre pensato.
E infatti se ne è tenuto ben alla larga, per costruire rifugi di civiltà lungo la costa. Ma la siccità riguarda ormai i tre quarti dell’immenso territorio, minaccia tutti: nel paradiso tropicale del Queensland la città di Toowoomba ha indetto un referendum sul possibile riciclaggio delle acque reflue; Brisbane sta organizzando un sistema di dighe per raccogliere l’acqua piovana; lungo la Gold Coast e a Sidney si stanno realizzando progetti per desalinizzare l’oceano; a Melbourne, dove fra settembre e ottobre le precipitazioni sono calate del 90% rispetto agli anni precedenti, le risorse idriche ormai sono razionate. Non si tratta solo del giardinetto di casa, anche l’industria è stata invitata all’austerità e al rigore.
La situazione è destinata a peggiorare con l’arrivo del Nino, che promette una fine d’anno infuocata: a ottobre, le temperature della primavera australe sono già torride come in piena estate, gli incendi divampano, i fiumi evaporano, i raccolti seccano prima di maturare, l’erba diventa fieno ancora sullo stelo. Nelle fattorie ci si prepara a un’estate terribile, con la prospettiva di sacrificare i risparmi residui per acquistare l’acqua indispensabile ai raccolti e agli animali. Per molti, raccontano gli psicologi, il trauma peggiore, persino superiore al problema finanziario, è quello di vedere andare in malora le terre di famiglia, patrimonio di ricordi, di tradizioni, di sacrifici di generazioni. Nell’Ultima spiaggia, filmone hollywoodiano datato 1959, l’Australia era l’unico scampolo di pianeta a essere, temporaneamente, scampato all’ecatombe nucleare e a offrire rifugio ai sopravvissuti. Nella realtà , il nuovissimo continente oggi è in prima linea sul fronte della nuova catastrofe annunciata, il riscaldamento globale. Un esperimento dal vivo che coinvolge 20 milioni di persone.
Un Paese a secco
L'Australia è colpita dalla peggiore siccità di sempre. Salgono i danni all'economia, come le restrizioni all'uso d'acqua
L'estate in Australia è già finita, ma la peggiore siccità di sempre non accenna a smettere. Dal 2002 in Australia piove meno, piove troppo poco, estate o inverno fa poca differenza: quello che all'inizio era considerato un evento climatico ciclico viene visto ora come una conseguenza del riscaldamento globale causato dall'uomo. Il conto lo stanno pagando tutti: l'economia nazionale, gli agricoltori dello sterminato outback ma anche gli abitanti delle grandi città , dove sono in vigore restrizioni all'uso d'acqua sempre più rigide. Tanto che si comincia a pensare a un futuro diverso, in cui l'acqua non sarà più abbondante e bisognerà prendersela in altri modi.
I danni all'economia. La siccità dura da sei anni e l'economia ne risente. Nell'ultimo inverno, le esportazioni di