Più che i motori possono i cuori
ovvero: d’Annunzio e la tecnica
“Qui non a impolverarsi ma a vivere sono collocati i miei libri di studi, in così gran numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra Biblioteca di ricercatore e ritrovatore solitario”. Così si legge nell’atto di donazione firmato nel 1930 da Gabriele d’Annunzio che fa del Vittoriale un monumento nazionale.
Quei libri, oltre trentamila, distribuiti topograficamente per materia, non solo in base alle necessità di studio del poeta, ma anche alle esigenze estetiche delle numerose stanze della casa-museo, catalogati, in vita d’Annunzio, dall’”affettuoso ordinatore” il bibliotecario Antonio Bruers, sono stati e continueranno a essere motivo d’interesse e di studio da parte di dannunziani e dannunzisti per i loro segni di lettura apposti, le copiose postille e chiose manoscritte, gli angoli delle pagine piegati che rappresentano, di volta in volta, testimonianze di fonti e genesi di opere del poeta o accorti plagi d’autore.
Così egli stesso scriveva: “Esamino; sfoglio, spulcio, come soltanto sa chi di spulciare ha inonorata nomea da primordii, così io leggo libri che nessuno ha letto e mai leggerà , so tante e tante straordinarie cose che nessuno sa né saprà “.
A lungo potremmo inseguire il d’Annunzio nelle tracce ingenti lasciate tra i numerosi libri, con quel suo protervo gusto della precisione, per scoprire nuove e sensazionali fonti; ma al di là dell’ardua impresa, che solo esperti filologi sarebbero in grado di compiere, non è certamente qui la sede per sciorinare argomenti che poco avrebbero a che fare con il tema di questa tavola rotonda.
Mi limiterò pertanto a vagliare quei volumi, i più raccolti nella sala detta “Pianterreno” che presentano, tra i meno noti, interessanti spunti sul rapporto d’Annunzio e l’automobile, ovvero tra d’Annunzio e la tecnica del suo tempo.
Già emeriti esperti hanno identificato tra le letture del Poeta di autori quali Placci, Barzini, Bentoglio, Morasso, fonti certe per la stesura di opere dannunziane dove, come nel Solus ad Solam, nel Forse che si forse che no, nel Notturno per citarne alcuni - o testi attinenti alle sue gesta eroiche (beffa di Buccari, solo su Vienna) protagonisti in primis sono, quale “trasposizione di teknos: la femminea automobile, il vibrante velivolo, la prorompente motonave con i loro vividi cuori d’acciaio”.
Forse, come dicevo, meno note, o per qualcuno sconosciute, sono le letture che d’Annunzio effettuava di libri d’autore poco celebrati: di progettisti, ingegneri, chimici, sperimentatori. Grazie all’attuale, sistematico lavoro di spoglio in atto al Vittoriale di tutti i libri della biblioteca del poeta mi è consentito presentarvi - ovviamente per sporadici, anche se significativi esempi, alcune nuove e credo interessanti, chiavi di lettura.
La prima pubblicazione, presa in considerazione in base ad una scelta rigorosamente cronologica per edizione, è datata 1901. il titolo è Della Navigazione interna in Italia coll’utilizzazione delle forze idrauliche e ne è l’autore Felice Gallavresi.
Molte sono le pagine che, a margine, recano segni di lapis rosso o postille autografe. I primi capitoli trattano della costituzione di Società per l’esercizio della navigazione interna e in particolare di quella per la navigazione a vapore sul Po e della riorganizzazione dei corsi d’acqua solcati da nuovi e più razionali galleggianti a propulsione idroelettrica.
Nel quarto capitolo d’Annunzio evidenzia: “Si pensi che noi non possediamo carbon fossile; epperciò la natura ci aveva sin qui lasciati in uno stato di grande inferiorità nella lotta della civiltà , che i nostri industriali sono poi sempre a completa dipendenza del porto di Genova per gli approvigionamenti del combustibile, che i nostri prodotti agricoli non posseggono la necessaria mobilità a causa delle elevate tariffe ferroviarie; e si capirà tosto quando l’impianto d’una Società di navigazione utilizzante alla tradizione l’energia elettrica delle cadute e con tariffe di L. 0,018 la ton. (…) volgerà tosto la bilancia a nostro favore e i rejetti di ieri potranno diventare i favoriti del domani”. E’ certamente dopo tale lettura che d’Annunzio può scrivere all’amico ingegnere, Isneghi, plagiando l’autore del brano citato: “Io ho la ferma convinzione che questo primo esperimento su basi concrete e proporzionate verrà a svegliare il nostro pubblico dal suo letargo”.
Sappiamo che il 2 maggio 1907 il poeta è a Venezia per assistere al discorso di Almerico da Schio presso il reale istituto Veneto di Scienze, lettere ed Arti discorso che verrà pubblicato di lì a poco e che in più d’una occasione, pur avendolo letto, d’Annunzio eviterà di ricordare.
Ma, il 27 febbraio 1910, Almerico gli scrive “Mi riuscì alquanto amaro che nella sua magnifica lettura sulla conquista dell’aria, io italiano, da lei personalmente conosciuto e competito, sia stato pure completamente scordato. Non fosse altro che per la esattezza storica, la quale anche in un discorso in prevalenza poetico, è debito osservare, specialmente dove si toccano i viventi e le cose recenti. Le spedisco due opuscoli miei, come pure delle fotografie le quali attestano non solo come io abbia percorso, ma come altri mi abbia seguito imitandomi negli organi nuovi da me introdotti. Perdoni la parola franca di che io La onoro come Lei merita”.
Il primo opuscolo di Almerico (quello del discorso del 1901), tuttora conservato nella Biblioteca di d’Annunzio è fitto di segni di lettura. A pagina 15 il poeta sottolinea, a proposito delle prove tecniche dell’aereonave “Italia” effettuate dal 17 giugno al 4 luglio 1905 a Schio, questo brano “Alle ore 6,45 si effettuava la partenza sul cavo, in direzione sud-est con l’intendimento di eseguire un giro completo attorno al Cimitero nuovo. Compiuto il giro e constatato il perfetto funzionamento del vari organi, l’”Italia” staccatasi dal cavo si spinse fino sul Timonchio a valle del ponte della ferrovia. Il ritorno si compié senza inconvenienti di sorta, con rotta costante giungendo al punto preciso di partenza alle ore 7,35. In questa manovra, che si può ritenere quella di maggior durata fino ad ora e la più completa, si ebbe una lusinghiera conferma del perfetto funzionamento dell’aereonave”.
Almerico da Schio, che dopo le prime prove, apprendiamo effettua nuovi tentativi per poter concorrere alle gare della Esposizione di Milano non ottiene alcun buon risultato. Forse la colpa è da attribuire al fatto che, come scrive, e d’Annunzio evidenzia in lapis rosso, “Ha trasgredito al precetto vada adagio chi ha fretta”. Il secondo breve opuscolo che riguarda l’aereonave dinamostatica del progettista vicentino e reca la dedica “A Gabriele d’Annunzio un suo umile ladato ammirando augurando osa offrire”, rimane invece intonso.
Nel 1918 esattamente nel luglio, d’Annunzio legge il volume di Michele Vocino, La prima nave a vapore nel Mediterraneo. Lo interessano, in modo particolare, i primi tentativi di adattamento effettuati in Scozia alla fine del secolo XVII. Avvenne a Leith - come apprendiamo, nel 1791, il varo della prima nave mossa dal vapore, e nel 1795 a Glasgow il varo della seconda fatta costruire da Lord Stanhope.
Si evince dalla lettura che il motore adottato si limitò a destare viva curiosità tra la gente comune ma tecnicamente non portò a reali frutti se non nella seconda metà dell’Ottocento.
Vi è una pagina del libro che suscita nel Poeta un’interesse del tutto particolare. A pagina 28, nel capitolo dedicato all’aspetto prettamente tecnico di questo tipo di nave, vi è un lungo periodo evidenziato: “è costruita, quanto alla sua forma esterna, nella guisa ordinaria: la macchina a vapore è una di quelle chiamate a doppio effetto: è situata nella metà circa del corpo della nave, cosicché per la sua posizione costituisce due camere, una situata verso la prua e l’altra verso la poppa. Il focolare la caldaia, il cilindro, lo stantuffo il volano sono posti sulla parte dritta, guardando la prua, e conseguentemente l’apparecchio destinato a produrre l’effetto utile della Macchina trovasi nella parte sinistra”.
Tra le pagine 28 e 29 del volume è conservato pure un cartiglio manoscritto dal Poeta che riprende, a grandi linee, lo stralcio successivo: “Il vapore dell’acqua in ebollizione, condotto da tubi fatti a quest’uopo, genera in moto alternativo e molto energico di ascensione e di discesa dello stantuffo che fa muovere una leva di primo genere, la quale comunica un moto alternativo della medesima indole statica ad una ruota dentata”.
In una lettera dell’agosto del 1918 al tenente De Paulis, d’Annunzio precisa a proposito d’un lungo discorso sull’argomento da tempo avviato certamente sulla scorta di questa lettura che “è facile accorgersi, che essendo l’azione dello stantuffo continua il moto delle ruote lo è parimenti. Per renderlo uniforme, ed equabile si è immaginato l’uso di un volano, come regolatore del moto, e che unitamente allo stantuffo serve di contrappeso alla parte sinistra dell’apparecchio”.
Note, come si accennava all’inizio, sono le letture effettuate sulla letteratura aviatoria e che qui per la loro ampiezza non è d’uopo elencare, ma una ritengo sia particolarmente degna d’essere menzionata.
Si tratta del volumetto scritto nel 1918 da Umberto Nobile sui fondamenti sperimentali e teorici dell’aviazione. La parte evidenziata in lapis da d’Annunzio riguarda la spinta totale e il rendimento globale dell’elica. La peculiarità sta nei precisi, oserei dire parossistici, dati tecnici che vengono forniti: “l’elica in cui il passo fosse costante o variasse con determinata legge (…) e variasse anche la larghezza della pala lungo il raggio, sarebbe teoricamente possibile, una volta stab