Il famoso Renan del secolo XIX. Ha qualificato il Cantico in questo modo: Il Cantico di Frate Sole è il più bel pezzo di poesia religiosa dopo i Vangeli.
Certo è un grandissimo elogio, però, il dire dopo i Vangeli significa che, per lui, i Vangeli sono poesia). Il Cantico sarebbe, quindi, l'espressione, la più completa, del sentimento religioso moderno: questa è la definizione che ne dà Renan.
Dobbiamo precisare, affinché si abbia la nozione esatta di questo negatore, che Renan è colui che ha detto, qualificando san Paolo: San Paolo: questo piccolo, rozzo giudeo che ha imposto all'Occidente la menzogna cristiana.
Le radici dei discorsi attuali sulle origini cristiane dell'Occidente o dell'Europa sono esattamente in questi negatori dell'Ottocento.
Quando nasce
Questo Cantico nasce due anni prima della morte di Francesco. Francesco muore nel 1226, quindi siamo attorno al 1224. Ho trovato alcuni autori che dicono che l'avrebbe composto dopo le stigmate, ma è opinione di un singolo storico. E' ormai asserito, da parte di tutti, che il Cantico nasce due anni prima della morte, quindi nel 1224.
Accettare dalle mani di Dio la sofferenza
Francesco si trova a San Damiano, in una piccola cella fatta di stuoie. Ha male agli occhi, quindi era in una sofferenza indicibile. Inoltre, i libri storici dicono che era aggredito dai topi i quali addirittura lo insidiavano anche quando pranzava. Andavano, insomma, a mangiare con lui, portandogli via quel poco di cibo che doveva assumere.
Una notte, mosso a pietà di se stesso, dice queste parole: Signore, per riguardo alle mie infermità, vi chiedo soltanto la forza di poterle sopportare pazientemente. Non chiede il toglimento della sofferenze, chiede soltanto la forza di poterle sopportare. Questo fatto di accettare dalla mano di Dio la sofferenza è uno dei più grandi favori che Dio possa fare all'uomo.
Al mattino si sveglia e dice ai suoi frati: Se l'imperatore desse al suo servo tutto il suo regno, costui sarebbe felice e contento. Io ho ricevuto da Dio i prodromi e gli antefatti di quello che è il suo Regno, quindi io sono certamente nel suo cuore.
L'uomo e la natura
Poi decide di scrivere una nuova lode delle creature del Signore. Perché? Perché gli uomini si dimenticano di tanti benefici. Gli uomini si dimenticano che tutta la natura che abbiamo attorno è un dono che Dio ci dà. Noi invece ci creiamo dei problemi, ci poniamo domande: "E' venuta questa alluvioneDunque dov'era Dio?" E' ovvio che è la definizione della natura che ci sfugge. Ci sfugge appieno e nascono queste contraddizioni nella natura stessa.
Perché Cantico di frate Sole
Francesco disse: Poiché il sole - ecco la motivazione - è la creatura più bella di tutto l'universo (noi, oggi, stiamo pensando alle galassie, ma quelle non le vediamo. Il sole lo abbiamo lì tutte le mattine che ci rallegra con la sua luce e il suo calore) e poiché anche Dio, nelle Scritture, è chiamato il Sole della Giustizia, io lo chiamerò il Cantico di Frate Sole.
Poi disse ai frati, a quelli che predicavano: Badate che voi, quando avete terminato la predica, poiché la predica, in genere è opera di ragione, dovete muovere i sentimenti recitando questo Cantico di Frate Sole.
Sarebbe, dunque, un modo per ricordare alla gente qual è stato l'amore di Dio per noi e come noi dobbiamo ricambiare di fronte al suo dono.
Francesco, operatore di pace: tre mediazioni
Nel testo del Cantico, bisogna mettere in grassetto la famosa strofa dove si parla del perdono: è la questione del dissidio che era avvenuto ad Assisi tra il podestà e il vescovo. Un tema, quindi, di altissima attualità: il rapporto tra politica e religione.
Francesco è un operatore di pace e ha tentato la soluzione dei tre problemi che ci travagliano:
1. Il problema sociale, che è quello del lupo di Gubbio (il lupo di Gubbio è una metafora per dire che vi era una lotta sociale). Questo lupo - o un brigante con delle rivendicazioni sociali sul gozzo - viene affrontato da Francesco e poi ricondotto in città dove, anche alla città, viene fatto un discorso per affermare che gli abitanti di Gubbio non erano in ordine con il Vangelo. Una volta convertiti tutti e due, è possibile ricomporre la pace e la tranquillità sociale.
2. L'altra grossa operazione - ne hanno parlato i giornali nei giorni passati - è stato il fatto di affrontare personalmente il Sultano, cioè a dire il dialogo con l'Islam.
Questo dialogo con l'Islam è impossibile a livello ufficiale. E Francesco, infatti, è andato da solo. Non è andato con un mandato del Papa e non è andato neanche con i crociati, ovviamente. Da solo, ha affrontato il Sultano.
Che cosa ha fatto Francesco? Ha offerto all'Islam l'ordalia. Precisiamo. Prima di tutto, offre l'ordalia in questo modo: Io e i tuoi sacerdoti ci buttiamo in un braciere. Quelli che sopravvivono saranno coloro che hanno la vera fede. Se io brucio, vuol dire che il cristianesimo è sbagliato; se bruciano loro, vuol dire che l'Islam è sbagliato.
Ovviamente, questa sfida non fu accettata dai sacerdoti i quali scapparono via indignati, dicendo che non si poteva tentare Dio
Allora Francesco offre l'ordalia a suo discapito, cioè dice al Sultano: Tu prepari un braciere e io mi ci butto dentro. Se brucio, questo ti farà vedere come brucia un peccatore; se io invece esco illeso, allora tu ti devi convertire perché vuol dire che è vera la mia fede ed è falsa la vostra.
Il sultano comprende perfettamente che questo è un uomo imprendibile, inattaccabile (lo tenterà in diversi modi: il sesso, il denaro, il potere ma, anche in quelle situazioni, Francesco resta imperturbabile) e gli dice: Io ho capito che tu sei nella vera fede, ma se mi converto, mi uccidono e tutto finisce. I Fioretti, poi, dicono che l'anima sua fu salva perché era stato convertito da Francesco.
Riprendiamo le tre mediazioni: abbiamo parlato di quella sociale, il lupo di Gubbio; di quella a livello internazionale, il rapporto con l'Islam, cioè con la religione nemica
3. La terza mediazione riguarda ciò che noi chiamiamo i rapporti tra Stato e Chiesa: il podestà e il vescovo. Ne parlerò sul finale, perché la cosa curiosa è vedere come si comporta il vescovo: di solito, l'autorità ecclesiastica ha sempre ragione mentre questa volta si è dovuto piegare ed ammettere che aveva torto anche lui.
Riassumendo:
I. Il Cantico esprime una profonda amicizia per le creature. Questo è importante, oggi, perché parliamo di ecologia. E' importante perché per Francesco c'è un'amicizia radicale con la natura: è ovvio, perché la vede come opera di Dio, come opportunità che ci è stata data
II. La carità verso le carenze della vita sociale. Ed ecco la spiegazione della storia
III. Amore infinito, che dopo aver cercato Dio nella natura e averlo cercato nell'umanità sofferente, non aspira che a trovarlo nella morte. E' l'unico santo della Chiesa cattolica che chiama la morte "sorella". Questo è importante. Mentre noi abbiamo una specie di orrore della morte, per lui è, come dire, il 'medium' che ci porta a Dio: la chiama "sorella". A questo nessuno era mai arrivato: nessuno dei filosofi, né cristiani né precristiani. Forse, c'era arrivato Socrate. Quando fu condannato, Socrate andò dai giudici e disse queste parole: "Signori giudici, io vado a morire, voi andate a vivere. Chi dei due vada nel luogo migliore, Dio solo sa". Forse, quindi, troviamo un non orrore della morte da parte di Socrate in cui ovviamente vi era un animo cristiano.
Seconda qualificazione letteraria del Cantico
Bisogna citare Gino Capponi per qualificare il passo anche dal punto di vista letterario: Tra noi, la poesia nasceva cristiana. Lode al Sole di san Francesco fu la prima voce modulata che emettesse la lingua nostra e fu preludio del Divino Poema. Divino poema di Dante. Il Cantico, poi, è in un italiano primitivo perché voleva farsi capire dal popolo: questa era una delle esigenze di Francesco.
Interpretazioni del Cantico
1. Il Cantico può essere visto come una variante del Padre Nostro
Padre Nostro che sei nei cieli / Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Questa frase, questo pane quotidiano non dobbiamo intenderlo nel senso che Dio ci dia il pane tirato fuori dal forno Cosa vuol dire? Vorrebbe dire questo (e credo sia giunto il momento di farlo): Signore, mi raccomando, dacci oggi il nostro pane quotidiano, fai sì che la terra continui a produrre l'erba, che le mucche continuino a mangiare l'erba, continuino a fare il latte da dare ai bambini e agli anziani.
Ecco che cosa significa Dacci oggi il nostro pane quotidiano: fa riferimento a tutta quella realtà fisica che ci dà la possibilità poi di vivere. E credo che sia arrivato il momento, perché siamo sul punto di compiere operazioni tali per cui, se andiamo a toccare le radici della vita, rischiamo di autodistruggerci.
2. Il Cantico può essere visto come una celebrazione della cosiddetta verità ontologica.
Ma a che punto è il pensiero umano nell'attualità, relativamente alla realtà che abbiamo fuori di noi?
I filosofi più agguerriti sostengono che non esiste verità, quindi la prima ad essere colpita è la Chiesa, la quale si illude di predicare la verità o di credere nella verità. Rispetto a questo discorso.Questa è l'affermazione: Noi non siamo in grado di stabilire se ci sia la verità. Ho chiesto quale sarebbe il punto di riferimento. Uno di questi mi ha risposto che oramai il padrone di tutta la realtà è la tecnica.
Vediamo di restringere un poco il discorso. Il ragionamento di questi filosofi, sarebbe questo: tutte le religioni, Cristianesimo compreso, dicono: Noi dobbiamo utilizzare la tecnica per attuare i nostri fini. Dobbiamo predicare alla politica la fedeltà alla morale e via di questo passo. Essi affermano che questo è l'errore, perché ormai il mezzo è diventato un fine: Il fine è quello della tecnica, la quale ha divorato ciò che voi avete messo come mezzi e ha divorato anche voi stessi. Ha divorato, quindi, anche la struttura stessa delle religioni. Questo sia per il Cristianesimo sia per l'Umanesimo che per tutte le altre religioni. Il padrone di tutto, dunque, sarebbe la tecnica.
Cioè: oramai il padrone di tutto è il Paese che avrà la bomba atomica irreversibile, cioè, a dire, lo scudo spaziale. Quando io avrò costruito un mezzo - ecco cos'è il mezzo: la forza atomica - tale da bloccare sul nascere chiunque voglia attaccarmi, io sono padrone e, da quella piattaforma, senza dichiararlo, impongo agli altri la mia etica, il mio modo di ragionare, la mia civiltà, il mio modo di essere. Questo è il significato.
La verità
Ricordiamo come Pilato abbia chiesto a Gesù che cos'è la verità? Siamo rimasti senza risposta.
O gli apostoli non erano presenti o non si sono ricordati bene Il fatto è che, lì, non viene riportata nessuna risposta. Il grande pensatore Kierkegaard fa questo ragionamento: Sarebbe come se io chiedessi a un orologio che cos'è un orologio. L'orologio che cosa potrebbe dire? Sta zitto. Se potesse parlare, dovrebbe dire: Guardami.
Nel caso di Gesù è proprio così. Gesù non aveva detto nella sua vita che lui era la via, la verità e la vita? Ecco, allora, la risposta: Che cos'è la verità? La verità non è una cosa. La verità, eccomi, la verità sono io.
Ora vediamo, Lui come persona è il Logos, quindi sarebbe il Pensiero di Dio incarnato.
Verità logica e verità ontologica
La verità ha un duplice aspetto: c'è una verità logica e una verità ontologica.
Questi sono occhiali, li vediamo tutti. Domanda: Perché? Sono occhiali perché corrispondono all'idea di colui che li ha fatti.
Prendiamo una penna. Che cos'è questa? Una penna. Perché è una penna? Perché corrisponde all'idea di colui che l'ha fatta. Io non so chi sia l'inventore di questa penna, ma è un cervello al di fuori dell'oggetto. Questa si chiama verità logica. cioè: sarebbe una adequazione tra la cosa, res, e l'intelletto: adequazione della cosa all'intelletto, all'intelletto di quella persona che ha inventato la penna.
Andiamo più alto. Questo è un geranio. Perché è un vero geranio? Perché corrisponde all'idea di colui che lo ha fatto. La penna è fatta da quel signore. Il geranio da chi è fatto? Ecco il punto: qui si blocca tutta la filosofia moderna.
Secondo, invece, la filosofia cristiana - ma così ragionava anche Aristotele -, questo geranio è geranio perché risponde all'idea di colui che l'ha fatto. E colui che l'ha fatto è Dio. Qui si capovolgono i rapporti. Ecco la verità ontologica, la dequatio rei ad intellectum divinum.
Il Cantico e la verità ontologica
Questo è il punto dove si gioca tutto il Cantico di Frate Sole.
Ecco perché ho detto che la verità ontologica determina tutta la realtà che abbiamo davanti a noi.
Se uno ammette che il piccolo fiore, il gattino, il cane, tutto quello che non abbiamo fatto noi, ma che abbiamo trovato venendo all'esistenza, è vero perché corrisponde all'idea di Colui che lo ha fatto - e per noi Colui che lo ha fatto è Dio - abbiamo, come prima conseguenza, il rispetto per tutte le cose perché vengono da una mente che ha creato anche noi.
Ecco come Francesco scopre fratello Sole, sorella Luna Esattamente in nome di questa verità ontologica.
Finalismi esterni e finalismi interni
Dovremo ritornare sull'argomento, per la grossa questione dei finalismi che appunto vengono negati dai filosofi moderni. Uno tra i primi, se n'è parlato qualche anno fa, è un certo Monod, francese, il quale dice che la realtà non ha senso alcuno. Sono affermazioni molto grosse.
A questo punto, ci sono dei dubbi sui cosiddetti finalismi esterni. Non c'è dubbio invece sul rapporto dei finalismi interni.
Faccio un esempio: qui ho una rosa. Questa rosa è rosa perché qualche mese prima c'era un piccolo seme che io ho messo nella terra e che è diventato rosa.
Tra questo seme e la rosa c'è un rapporto obbligato. Il fine di questo seme è di diventare rosa.
Attenzione, perché dalla rosa passate poi anche a voi stessi. Io sono qui perché tanti anni fa papà e mamma hanno messo in essere un piccolo germe che era orientato a... Il piccolo germe, vale per tutti noi, è orientato a diventare questo. E io sono qui.
Una risposta difficile
Ripeto: il fine del seme è diventare rosa. Il fine della rosa quale è? Qui posso dare ragione a coloro che hanno dei dubbi sul senso dell'universo. Non è facile rispondere. Non è facile rispondere per la rosa e probabilmente non è facile rispondere anche per noi.
Il fine del seme che mi ha dato origine era quello. Non si scappa. Ma il fine mio quale è? Quale è? Ecco allora dove nasce la riflessione cristiana.
Si dice che ognuno di noi è un'entità assoluta, autonoma e deve dare, lui, il senso alla sua esistenza. Quindi sono io che devo dare questo senso. Ma uno che si trova perduto di fronte ai finalismi esterni, come se la caverà a dare un senso alla sua esistenza?
Ecco, allora, che, intorno a noi, abbiamo un'umanità che crolla - chi si attacca alla droga, chi al vino, chi al fumo tutte realtà che deturpano il finalismo della nostra esistenza - se si perde il punto di riferimento.
La risposta di san Francesco
Ritornando alla rosa. L'unico che mi risponde, che ha il coraggio di rispondere è san Francesco. E il fine della rosa? Ecco il Cantico: il fine della rosa - dice san Francesco - è quello di rendere gloria a Dio e di goderne il profumo che Lui ha dato per noi, per la nostra felicità.
L'unica risposta viene data da lui. I filosofi non hanno il coraggio di darne una perché non esistono, appunto, questi fini: i fini cioè sono smarriti non avendo il punto di riferimento.
3. Il Cantico può essere inteso come una sintesi di tutta la salmodia vetero testamentaria dove si fa l'elogio del cattivo tempo, del sole, della luna delle meraviglie del cosmo in quanto opera di Dio
4. Ecco, infine, la specificità della mia interpretazione: il Cantico, a mio giudizio, contiene il momento teologico della castità, della pulizia mentale di san Francesco
In Matteo 4, si legge il passo delle tentazioni di Gesù. Se avete notato, tutta la realtà, che sta fuori di noi, o è vista con l'occhio e con il pensiero di Dio o, diversamente, è una tentazione senza fine.
Tutto diventa una tentazione. E tentazione vuol dire deturpare il fine della cosa stessa. Tutto quello che tocco viene contaminato perché io vedo la realtà con i miei occhi e la vedo anche con il mio pensiero. Invece, devo vederla con i miei occhi, ma col pensiero di Dio.
In questo caso tutto procede tranquillo. E' inutile dire ai sassi che diventino pane. Il pane io l'ho lavorando E così: Ti darò tutti i regni. Gesù Cristo aveva detto che lui era già il Re, ma di un regno che non è di questo mondo. Tutte queste cose le ho, ma le ho dalla mano abilitata a darmele e non da una mano spuria. Questo significa la castità di san Francesco.
Reale: sintesi di cosa e pensiero
Un'altra cosa sembra oramai ammessa da quasi tutte le filosofie: il reale non è una pura cosa, ma è il rimando a un pensiero. Questo è importante: il reale sarebbe una sintesi di cosa e di pensiero, spirito dunque. Anche il filo d'erba e l'acqua e il fuoco e il vento e gli uccelli non sono pienamente reale se non per la loro inserzione in una realtà razionale che trascende il cosmo stesso. Senonché il tentativo di scoprire in concreto questo pensiero, cioè una ricerca dei finalismi, può far perdere la giusta dimensione delle cose e dell'uomo.
Raccontiamo un episodio. E' una favola. Il lupo è preso alla tagliola. Pagò il prezzo della libertà promettendo di astenersi dalla carne e di non mangiare che erba o tutt'al più qualche pesce. Appena tornato nel bosco, vide un porcellino che si rotolava in una palude. Si stropicciò gli occhi e disse: Che bel pesce!
E' errore dei sensi o accomodamento della realtà ai sensi? Questo è il grande pericolo che contengono le tentazioni.
La visione dei Catari
Per quanto riguarda questo modo distorto di vedere la realtà, ecco che entriamo nel vivo, nella specificità di san Francesco. All'epoca sua - all'epoca nostra anche - erano ancora più confuse le idee su questo punto.
Prendiamo i Catari: erano eretici i quali non volevano che Dio Padre fosse l'autore del mondo creato. Perché? Perché vi era chiaramente espressa la manifestazione del male. Secondo loro, chi è sapiente deve credere senza esitazione che c'è un Dio, un Signore cattivo.
Per spiegare il male, dunque, non ricorrono a una definalizzazione, cioè a dire: il male non è qualcosa di ontologico, ma un modo soggettivo di vedere le cose ed è una definalizzazione delle cose.
Seguendo il loro pensiero, bisogna ammettere che ci sia un Creatore cattivo. Del resto, si dovrebbe ammettere che lo stesso Dio è causa di ogni iniquità. Qualcuno di loro argomentava così per provare l'esistenza di un Dio malvagio: Come può essere creato da un Dio buono il fuoco che brucia la casa dei poveri e degli uomini santi?
E' ovvio: guai a noi, se pensiamo che in tutte le azioni ci sia dietro Dio, che tutto quello che accade sia un'opera diretta di Dio. Il fuoco ha una sola caratteristica, ovviamente, che è intrinseca al suo essere, quindi, se tu sei un uomo libero, devi stare attento a non andare vicino al fuoco.
"Amministrare" la realtà
Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre non si sono trovati con una realtà su misura, perfetta per loro. Anche allora le vipere mordevano, quindi bisognava starne lontani.
Ci sono stati alcuni teologi, protestanti soprattutto, che dicevano che le vipere, prima del peccato originale, non avevano il veleno.
No, l'avevano, ma Dio con quella famosa frase: Questo puoi mangiare, quest'altro no aveva distinto dove noi dobbiamo accedere alla realtà col pensiero. Sto pensando a quante persone saranno morte per aver mangiato i funghi velenosi. Anche rispetto ai funghi, prima di accedere alla realtà, dovrò vedere come stanno le cose.
Per tornare al discorso centrale, non c'è un felice concordismo tra me e la realtà, quindi Figliolo, apri gli occhi. Questo è quanto Dio ci dice dopo la creazione, quindi dobbiamo amministrare la realtà.
Vi racconto un episodio. Un mio amico mi diceva che, quando era piccolo, sua nonna, aveva avuto in custodia un bambino di qualche settimana. Questa donna lascia il piccolo in cucina per andare non so dove. Dopo tre minuti arrivano in cucina le galline che si attaccano al cervello di questo bambino e in due minuti lo distruggono. Quando torna, la nonna vede questo scempio. Il mio amico mi disse: Come mai Dio non interviene? Tu sai che le galline fanno questo se trovano della carne tenera e sai che i bambini, a quell'età, debbono essere assistiti 'a vista'. Questo anche per rispondere a tutti i discorsi, che si sono fatti in queste settimane, sul dramma delle acque della Malesia...
Concetto di creazione
Torniamo alla questione di queste persone che dicevano: Come può esserci un Dio buono se il fuoco brucia le case dei poveri e degli uomini santi . Certo, il fuoco non distingue. Quando il concetto di creazione non è ben capito, può dare alla testa e spingere a prassi morali spietate.
A questo proposito, sono andato a rivedere i comportamenti etici dei Catari, i quali avevano una pratica che si chiamava endura, per cui il moribondo, che aveva ricevuto il rito cataro del "consolamento", veniva soffocato dai famigliari stessi perché non tornasse più a peccare e potesse sicuramente salvarsi.
Io mi domando se questi sono comportamenti che un uomo che crede in Dio può accettare. Il resto viene di conseguenza. Come è possibile dare la colpa a Dio di tutte queste cose?
Una lettura freudiana della creazione
Da questo punto di vista, comincia a delinearsi l'equilibrio del Cantico di Frate Sole. Quando il significato dell'universo viene smarrito, nella sua totalità, tutti i singoli settori vanno in cancrena.Quando la mente si offusca, l'occhio comincia a vedere segni di impurità in ogni cosa.
I Catari credevano che il sole fosse il diavolo, che la luna fosse Eva e affermavano che i due fornicavano ogni mese. Questa è una lettura freudiana della realtà.
Qualcuno, anzi, sosteneva che il sole, la luna, le stelle - pensiamo agli aggettivi che troviamo nel Cantico, inventati da san Francesco: frate, sora, clarite, preziose, belle - erano demoni agitati da furori erotici.
Soprattutto il sole e la luna erano accusati di continuo adulterio tanto che se ne poteva vedere il frutto libidinoso guardando la rugiada sparsa nell'aria e sulla terra. Tutto il creato, dunque, anziché essere opera dell'amore divino, veniva coinvolto dentro una viscida rete di erotismo cosmico.
L'occhio puro del Cantico
Ecco che allora il Cantico racchiude il significato teologico dell'occhio puro, del cuore mondo cui compete il privilegio di vedere Dio in sé e nelle sue opere. Aggiungo un'ulteriore annotazione, che trovo sempre da altri autori: Il cataro puro esce di casa curvo sotto il peso dei suoi complessi teologici, apre gli occhi sul mondo e non sa più dove posare i piedi, non sa più dove metterli, visto che tutto è polluzione cosmica.
Francesco invece guarda la valle di Spoleto, vede il panorama stupendo dell'universo, fa capriole di letizia sull'erba fresca del mattino e improvvisa un minuetto su due stecchi sottratti alla foresta.
Dopo aver affermato la trascendenza di un Dio altissimo, libero e non necessitato nel creare, onnipotente, buono e non cattivo, bon Signore, accarezza tutte le creature e tutte le chiama sorelle, perché sono originate da quella stessa razionalità che ha originato lui, creatura razionale, il cui fine resta quello di andare a Lui attraverso le cose, non di volere spiegare le cose come un residuo di opera, diciamo, diabolica.
Esistenza ed essenza
Accenno soltanto ad un romanzo di Sartre che ha come titolo La nausea. Narra di un uomo che ha perduto il senso della realtà, cioè che ha perduto il significato delle cose e di se stesso. Ecco come inizia la sua vicenda: un giorno va a sedersi su una panchina e si addormenta. Si sveglia e vede le radici di un albero che si innalzava lì vicino. Guarda queste radici contorte e non sa più che cosa sono.
Per noi, è ovvio. Io dico: è un albero. Col verbo 'essere' io dichiaro l'attualità. Gli idealisti come Sartre negano che ci sia nelle cose la distinzione tra l'essenza e l'esistenza. Abbiamo: io sono un uomo. Questa è una penna. Quello è un albero. Distinguo nel mio linguaggio quell'è, quindi l'attualità, che sarebbe l'esistenza, l'atto di esistere.
Poi dico: E' un albero. Mi riferisco alla sua essenza, cioè devo pensare che dietro alla definizione ci sia la sua essenza di albero. Se io, però, rifiuto il concetto di essenza, mi trovo di fronte alle sue radici. Di conseguenza, per me, quelle radici, come nel romanzo, sono dei mostri.
Il signor Roquentin, infatti, ebbe un sobbalzo: non sa più che è un albero, quindi queste radici sono un mostro perché si presentano come legni attorcigliati in un certo modo. Comincia poi a camminare, incontra un amico, gli tocca la mano e gli sembra di trovare la zampa di un cane Non sa più che cosa sia un uomo. Non avendo il concetto di essenza, perde la connotazione di tutte le cose. In Sartre, bravissimo scrittore, sotto forma di romanzo, viene 'contrabbandata' tutta la teorica dell'idealismo.
Il libro, il diario di Antoine Roquentin, termina in questo modo: Domani pioverà a Bouville . E' una fatalità? San Francesco vede nella pioggia un dono divino e ne fa l'elogio; quello ha perduto ogni riferimento: non sa più che cosa sia.
Il creato in san Francesco
Al termine della lettura del Cantico, Io posso continuare ad accarezzare il volto di un bambino, a guardare con sereno stupore i colori di un tramonto, a raccogliere con la gioia nel cuore i fiori del campo, coperti di rugiada, a respirare con letizia l'aria pura dei monti, a bere con agreste tranquillità l'acqua casta delle fonti.
Non solo, ma anche la morte diventa, per la prima volta nella storia del Cristianesimo, una sorella. E quindi frate Angelo e frate Leone stanno solfeggiando il Cantico e sfiorano i semitoni dell'emozione. L'idiota filosofo (io chiamo così Francesco) impone l'alt alla piccola orchestra, e dichiara che è sfuggito un fraseggio. I due corali aspettano l'imbeccata e, a questo punto, anche la morte può essere ridotta al rango di sorella.
Qui è noto, la legge di Einstein, che prevede la trasformazione della massa in energia, è un simbolo della scoperta di Francesco, disteso sul materassino della morte.
La nuova strofa è introdotta con assoluta serenità. Di tutto il dramma non resta che la morte corporale, ridotta a elemento come l'acqua, il vento, il fuoco. Nessun filosofo - lo abbiamo già detto - nemmeno cristiano ha messo la morte sul piano degli elementi.
La morte è assunta come un bene di famiglia, come un elemento su cui si può scrivere una poesia. Francesco assume la morte come assume il mostricciuolo di frate Jacopa per trasformarlo in vita, come assume la foglia di prezzemolo per profumarsi la bocca.
La morte è sorella come l'acqua, elemento umile che dell'Altissimo porta significazione. Quindi, silenzio. Quei due cantori, ingaggiati da Francesco alla Porziuncola, non sono degli improvvisatori di lamenti funebri. Sono invece due poeti che mettono in versi il Vangelo. Questa è la chiusura teoretica del Cantico.
La lettura
Faccio riferimento al testo critico di Branca Il Cantico di Frate Sole, Firenze, 1950:
Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so le laude, la gloria e l'onore e onne benedizione.
A te solo, Altissimo, se confano,
e nullo omo è digno te mentovare.
Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,
spezialmente messer lo frate Sole,
o quale è ìorno, e allumini noi per lui.
Et ello è bello e radiante cun grande splendore:
de te, Altissimo, porta significazione.
Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:
in cielo l'hai formate clarite e preziose e belle.
(La parola "clarite" probabilmente si riferisce a santa Chiara: tutti gli esegeti lo dicono)
Laudato si, mi Signore, per frate Vento,
e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si, mi Signore, per sora Aqua,
la quale è molto utile e umile e preziosa e casta.
Laudato si, mi Signore, per frate Foco,
per lo quale enn'allumini la nocte:
ed ello è bello et iocondo e robustoso e forte.
Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sostenta e governa,
e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba.
Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano
per lo tuo amore
e sostengono infirmitate e tribulazione.
Beati quelli che lo sosterranno in pace,
ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullo omo vivente po' scampare.
Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!
Beati quelli che troverà ne le tue sanctissime voluntati,
ca la morte seconda no li farrà male.
Laudate e benedicite mi Signore,
e ringratiate e serviteli cun grande umiltate.
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I rapporti tra Stato e Chiesa
Riprendiamo ora la questione dell'aggiunta di quella strofa
Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore
e sostengono infirmitate e tribulatione
Francesco è ad Assisi. Gli riferiscono che le autorità cittadine erano in litigio: il vescovo, che si chiamava Guido, e il podestà, che si chiamava Berlingerio. Erano in lite e Francesco si stupì sia per l'inimicizia in sé sia per il fatto che nessuno avesse tentato una mediazione.
Invia dunque due fratelli perché, alla presenza dei due nemici, cantassero quei pochi versi, cioè Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano / per lo tuo amore / e sostengono infirmitate e tribulazione. Il primo a cadere in ginocchio è Berlingerio, mentre il vescovo Guido, a sua volta, chiede perdono. Per un vescovo dell'epoca
Che cosa era successo? Era stato sottoscritto un patto tra nobili perugini ghibellini e Assisi, che era ghibellina, contro il divieto del vescovo. Il vescovo aveva lanciato la scomunica; il podestà, per risposta, aveva proibito ai cittadini, per mezzo del banditore, di vendere al vescovo cosa alcuna o contrattare in qualsiasi modo con lui. Il primo, dunque, aveva colpito gli spiriti con la scomunica, il secondo aveva colpito gli interessi.
Ciò che qui risulta importante è la richiesta di perdono da parte del vescovo, il quale ammette che la scomunica fu dovuta a ira. E' da supporre, quindi, che l'abbia ritirata.
Questo è un fatto straordinario, soprattutto nel Medio Evo, dove l'autorità religiosa aveva sempre ragione. Ed è qui che la statura di Francesco diventa di carattere universale. Perché la mediazione di Francesco fosse coerente bisogna pensare che il vescovo abbia ritirato la scomunica.
Del resto, se Francesco si fosse schierato per una parte, sarebbe stato soltanto un abile persuasore per ricondurre all'ovile l'altra parte. La Chiesa, quindi, ahimè, era già schierata: non era più né la salvezza né la parte perseguitata perché fedele a Cristo.
Questo è lo specifico di Francesco che trascende le parti e ripropone la via del Vangelo. Le sua mediazioni quindi sono transeunti: quelle due specie - ecco qui la mia osservazione - di autorità non sono previste da Cristo, almeno in quel rapporto, e Francesco getta tutta la sua vita per tentare l'impossibile.
Termino con questa stoccata che poi è in riferimento a tutta la realtà che ci circonda, intendo la realtà sociale.
Temi delle domande e risposte
- Origine dell'occhio casto di Francesco
Qui la risposta è obbligata: è il giorno in cui Francesco incontra Gesù Cristo. E' la sua conversione al Cristo totale.
Porto subito le prove: dobbiamo vedere il cammino della sua conversione, per esempio, là dove dice, all'inizio del suo Testamento, che a lui pareva amaro andare tra i lebbrosi e come tutti scappava da quei luoghi. Ma, dal momento in cui lui ha creduto in Gesù Cristo, afferma: Allora io sono andato tra i lebbrosi e mi è sembrata una cosa dolce.
Ecco un modo di vedere diverso da tutti gli altri. Da lì comincia la sua parabola: l'amore verso il prossimo, il problema della malattia. La questione del lebbroso, infatti, è importante Perché? Perché anche nel Vangelo i lebbrosi erano segregati e nessuno poteva accostarli.
Ed ecco Gesù Cristo. Ecco in cosa consiste la grandezza di Gesù: nel trattare direttamente con loro, nel non aderire, quindi, alla legge rigida della segregazione radicale. La cosa importante è che Gesù direttamente si occupi del prossimo.
Francesco è un caso anche perché nel Medio Evo i lebbrosi erano segregati in case particolari. Addirittura c'era il cappellano che diceva la Messa, ma a distanza.
C'è quindi una distinzione anche qui: un modo diverso di vedere le cose da parte dell'istituzione e da parte di Francesco.
Francesco ha rotto questo diaframma ed ecco il bacio al lebbroso. Questo è un gesto che lo introduce in una visione del mondo che è indubbiamente diversa da quella di tutti gli altri. E da lì comincia la sua vicenda.
L'altra grossa rottura è quella col padre - quando restituì i vestiti - e l'altra è con l'istituzione. Francesco parte per andare alla crociata e quando arriva a Spoleto ha alcune visioni: la prima non lo convince e riprende il cammino.
Nella seconda visione, una voce gli dice: Francesco, è meglio ubbidire al padrone o al servo? E' meglio seguire il padrone o il servo? Chi è il servo? Il servo è il Papa.
Ecco dove nasce la distinzione. Non allarmatevi, perché Francesco è l'unico santo che è la coscienza critica della Chiesa.
C'è, indubbiamente, tutto l'amore per il Papa, però Francesco, in altro punto della Regola, dice: Io sono fedele al Papa, bacio la mano e sono riverente verso i preti della Chiesa cattolica che vivono secondo la forma di Santa Romana Chiesa.
Come dire: se i preti fossero almeno fedeli ai canoni... Nell'emistichio successivo, però, aggiunge: Io voglio vivere secondo la forma del santo Vangelo.
Il punto di riferimento suo è quello. Se uno veramente osserva il Vangelo, stia tranquillo che sarà un fedele figlio della Chiesa. Se uno, invece, è un fedele servo della Chiesa, ma non osserva il Vangelo, mi dispiace, non è figlio della Chiesa. Ecco come nasce in lui il vedere le cose con l'occhio nuovo, in tutti i settori della vita.
Inoltre, san Francesco è l'unico santo della Chiesa cattolica - io insisto anche se qualcuno mi ha fatto delle obiezioni - che si propone di attuare il Vangelo, e non di divulgarlo, così come era. Ed è per questo che sono affezionato a lui.
Con alcuni amici mi sto domandando: se io, per qualche contingenza, invece di farmi cappuccino fossi diventato gesuita, non so come sarebbe andata a finire dopo aver letto il Cantico. L'approfondimento di Franceso l'ho fatto, in maniera sistematica dopo il sacerdozio, dopo i 25 anni, mentre prima si andava un po' per sentito dire. Ecco perché arrivo a quella conclusione.
C'è chi si domanda se si può aggiungere qualcun altro tra quelli che si sono preoccupati di attuare il Vangelo. Ci potrebbe essere san Benedetto, fino a un certo punto.
San Francesco (come pochi sanno, anche tra i miei confratelli, tanto che io nell'articolo che avete pubblicato su 10 anni della Cooperativa Sociale l'Ovile, ho fatto una dichiarazione evangelica e poi di Platone) aveva ordinato ai suoi frati di lavorare (E quelli che non sanno, imparino).
Per noi frati, nel mio libro Quale vocazione? (all'epoca, quando ho scritto il libro, eravamo 13 mila, adesso saremo 11 mila) avevo proposto al Padre Generale di dislocare, almeno nei tre continenti - l'Europa, l'Asia e l'Africa - tremila frati. Avevo bisogno di tremila frati che mi facessero una firma per lavorare dai 25 ai 35 anni. Andare quindi in un luogo, chiedendolo al governo, in cui lavorare.
Cosa possono produrre mille uomini di 25 anni, al lavoro otto ore - quattro ore lavorate per mantenersi, e le altre quattro per 'dare' - come si dice oggi - anziché andare a chiedere? Quanto può produrre una accolita di mille frati - con le regole rigide previste - sul piano della quantità, per quanto riguarda il frumento?
Avendo tremila frati dislocati - e lavorando secondo lo spirito evangelico - si produrrebbe tanto da dare da mangiare a tutti i bambini dell'Africa che muoiono di fame. Queste erano le mie utopie.
- Folgorazione o cammino di fede
E' morta suor Lucia. Io, rispetto a queste rivelazioni private, ho qualche dubbio circa la possibile comprensione o non comprensione del messaggio. Con Francesco, lealtà assoluta. Quando è a San Damiano, il Crocifisso gli dice: Tu vai a riparare la mia Chiesa.
Francesco aveva, prima, capito in senso fisico, ma in seguito ha capito perfettamente. Quindi - chiamiamole come si vuole - ma sono rivelazioni private, soltanto che io vedo che quella rivelazione ha toccato il punto.
Io non ho bisogno della rivelazione perché c'è il Vangelo. Vi confesso, però, che se domani mi dovesse apparire o dovessi sentire la voce di Gesù, diventerei ancora più turbolento! Mi metto in giro come una trottola E così ha fatto san Francesco.
Voglio essere critico fino in fondo: noi stiamo a discutere se quella voce provenisse veramente dal Crocifisso (gli storici dicono che Francesco ha visto le labbra del Crocifisso muoversi), ma costui era talmente preso dall'insegnamento evangelico che, comunque, non poteva non fare.
Noi quindi non abbiamo più timori: il Vangelo è a disposizione di tutti noi. Vi confesso che quando leggo l'Evangelo, soprattutto in alcuni punti determinanti, mi sento friggere l'anima come si sentiva friggere l'anima don Mazzolari.
Ecco perché sulla questione delle rivelazioni private ho qualche piccolo dubbio. Preferisco Madre Teresa, che era una monaca, però è uscita. Ha cambiato ordine, cioè l'ha inventato lei. E' uscita da una istituzione che, secondo lei, non attuava il Vangelo. Ed è importante per questo.
- Non credenti, ma con alti principi
Io questo l'ho detto più volte e continuo a ripeterlo, cioè a dire: Tu non sarai condannato perché non avrai creduto in Gesù Cristo, ma perché non hai dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati.
Ma è proprio questo che io non vedo. Gli atei, quando parlo con loro, si aspettano sempre da me un rabbuffo filosofico. No. Io rispondo: Per prima cosa, chiedo perdono a voi perché io non vi do l'esempio di come deve essere un cristiano. Gesù infatti dice: Affinché gli uomini, vedendo le vostre opere buone, credano nel Padre vostro". Questo è il debito che io ho nei confronti di un ateo.
Detto questo, però, voi come avete risolto i problemi socio economici, quelli che sono poi dichiarati dal Vangelo? Io quindi non vi condanno perché siete atei - è Platone che condanna gli atei - ma perché anche voi siete in una condizione di miseria spirituale, cioè non riuscite a dare un esempio di come deve comportarsi una persona che ha una visione laica o, come dite, non contaminata dalla religione.
Ammetto che voi abbiate una visione giusta, ma se così è, dovete risolvermi i problemi.
Così come elogio Madre Teresa, così elogio un ateo che - con la propria professionalità - sia andato in Africa. Io non ho nessuna preclusione, magari l'hanno i gesuiti.
Il caso più clamoroso è quello di Platone, duecento anni prima di Cristo.
Leggete le "Leggi", capitolo X: l'ho consigliato a tutti i professori dell'università per poter parlare di questi temi con cognizione di causa.
Platone comincia col dire che lui non vuole gli atei nella sua Repubblica. Perché? Perché, secondo Platone, l'ateo non osserverà mai le leggi. Per Platone, infatti, le leggi o sono di derivazione divina o, diversamente, non sono vincolanti.
Questo è vero: nessun uomo può dire a un altro uomo: Si fa così e non altrimenti. Questo resta valido anche per noi, oggi. Ecco perché, se l'ateo non crede, non ha il punto di riferimento e le leggi non le osserverà mai.
Poi c'è la battaglia: gli atei chiedono la dimostrazione dell'esistenza di Dio. E Platone si assume questa responsabilità. Ed è lì l'affermazione più grave: Tutti i filosofi, che sono venuti prima di me, non hanno capito che lo spirito, l'anima, è anteriore ai corpi. Principio tremendo.
Alla fine della prova, afferma: Io vi ho dimostrato che Dio esiste. Alcuni non accettano, allora dice che le autorità devono costituire una prigione, che si chiama sofronisterion, cioè un luogo in cui si diventa saggi.
Ogni settimana i magistrati dovranno andare a colloquio con questi per vedere se sono rinsaviti, cioè se finalmente si sono resi conto che Dio esiste. Questo per cinque anni. Se dopo cinque anni uno non si converte, pena di morte.
Non posso accettare questo, ma sottolineo come la reazione di Platone sia molto migliore di quella delle religioni, le quali la pena di morte te la impongono appena sei dissidente.