La guerra è un evento sociale e politico generalmente di vaste dimensioni che consiste nel confronto armato fra due o più soggetti collettivi significativi. Il termine "guerra" deriva dalla parola gwarra dell'antico alto tedesco, che significa "mischia". Nel diritto internazionale, il termine è stato sostituito, subito dopo la seconda guerra mondiale, dal più ampio e preciso di "conflitto armato".
Si giunge alla guerra quando il contrasto di interessi economici, ideologici, strategici o di altra natura non riesce a trovare una soluzione negoziata, o quando almeno una delle parti percepisce l'inesistenza di altri mezzi per il conseguimento dei propri obiettivi.
La guerra è preceduta da:
un periodo di tensione, che ha inizio quando le parti percepiscono l'incompatibilità dei rispettivi obiettivi;
un periodo di crisi, che ha inizio quando le parti non sono più disponibili a trattare tra di loro per rendere compatibili tali obiettivi.
Nei periodi di tensione e di crisi si sviluppa l'attività politica e diplomatica di tutta la comunità internazionale per evitare il conflitto: in tali periodi, le forze armate giocano un ruolo rilevante nel dimostrare la credibilità e la determinazione dello Stato, con lo scopo deterrente di rendere evidente all'antagonista la sproporzione fra l'obiettivo da conseguire ed il costo, sociale e materiale, di una soluzione militare. La guerra quindi può essere evitata quando ambedue i contendenti percepiscono questo sfavorevole rapporto.
Carl von Clausewitz, nel suo libro Della guerra, compie una analisi del fenomeno guerra: «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi» e «La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà.»
La guerra in quanto fenomeno sociale ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione, sull'arte, sul costume, sull'economia, sui miti, sull'immaginario collettivo, che spesso la trasfigurano esaltandola o condannandola.
Le guerre sono combattute per il controllo di risorse naturali, per risolvere dispute territoriali e commerciali, per motivi economici, a causa di conflitti etnici, religiosi o culturali, per dispute di potere, e per molti altri motivi.[citazione necessaria] In Europa non si sono più combattute guerre per motivi religiosi dal 1648, anno della pace di Westfalia che chiuse la guerra dei trent'anni.
Fino alla seconda guerra mondiale era prassi di diritto internazionale consuetudinario ampiamente osservata il far precedere le ostilità da una dichiarazione di guerra.
Le alleanze militari fra Stati obbligavano i firmatari a entrare nel conflitto se una nazione violava la neutralità e l'integrità territoriale, invadendo i confini esteri con le proprie truppe, oppure ne manifestava la volontà con una dichiarazione di guerra: i patti di mutua assistenza militare propagavano rapidamente le dimensioni dei conflitti.
Generalmente, il conflitto armato inizia a partire da un evento specifico (il cosiddetto casus belli): un'invasione militare, l'uccisione nemica di concittadini, quali soldati (come nel caso del bombardamento della Siria da parte di Israele), o beneficiari dell'immunità diplomatica, quali ambasciatori (come nel caso dell'omicidio dell'ambasciatore israeliano Argov a Londra, il 4 giugno 1982, cui seguì l'invasione israeliana del Libano), capi di Stato o reggenti (come per l'Austria di Ferdinando I nella prima guerra mondiale). Anche incidenti diplomatici possono innescare crisi che si risolvono in un conflitto armato, a causa di inosservanze dei protocolli diplomatici, come non presentarsi ad una convocazione o rifiutare di ricevere un ambasciatore, ingerenze politiche sulle nomine, dichiarazioni offensive senza scuse o smentite ufficiali degli organi di stampa ed eventuali dimissioni del dichiarante. Preso a sè, il casus belli può essere anche non molto grave, ma la sua importanza è amplificata dalle tensioni e dagli attriti già esistenti.
La guerra spesso si manifesta insieme a un periodo di sospensione dello Stato di diritto nel quale il diritto e la giustizia militare si sosituiscono a tutte le altre fonti della giurisprudenza.
Con l'avvento dell'ONU, il cui statuto condanna lo Stato aggressore e consente allo Stato aggredito di difendersi con immediatezza, la dichiarazione di guerra è praticamente scomparsa dallo scenario internazionale. Molte Costituzioni, fra le quali quella italiana, ammettono la guerra di sola difesa. Nessuno Stato è infatti disposto a dichiararsi aggressore tramite una tale procedura, mentre infiniti sono gli appigli per dichiararsi aggredito. In definitiva lo Statuto dell'ONU, che nelle intenzioni doveva servire a far scomparire la guerra, ha fatto invece scomparire soltanto la dichiarazione di guerra.[citazione necessaria]
Secondo quanto osservato da von Clausewitz, la guerra non è accesa dall'azione di chi offende, ma dalla reazione di chi si difende: se non ci fosse reazione, infatti, si verificherebbe una occupazione e non un conflitto armato. Tale fu il caso, ad esempio, dell'Anschluss, ovvero l'invasione dell'Austria da parte della Germania nel 1938.
Si ha pertanto l'inizio della guerra quando si verifica il primo combattimento fra forze contrapposte.
Nell'economia di guerra, lo Stato nazionale emette una quantità di moneta crescente che è garantita da una percentuale sempre più piccola di controvalore nella riserva. Una simile emissione causa svalutazione e iperinflazione che impoveriscono la popolazione e azzerano il potere d'acquisto dei salari e della moneta durante il conflitto. La percentuale a riserva scende a un valore talmente basso che viene introdotto dai Governi il corso forzoso della moneta.
In vista dei conflitti, ingenti ricchezze vengono tesaurizzate in oro, in attesa di migliori opportunità d'investimento nel periodo di pace. L'oro non è un investimento in sé conveniente perché non genera interessi, diversamente dalla finanza o da un investimento produttivo. Tuttavia, l'oro è un metallo che conserva il suo valore nel tempo, mentre la moneta si deprezza.
Durante la guerra, l'oro è anche il mezzo di pagamento per eccellenza, praticamente per tutte le transazioni economiche di una certa entità.
Gli Stati si rivolgono a banchieri e soggetti che detengono riserve d'oro (o in altro metallo) per ottenere prestiti per finanziare la costruzione di industrie militari e l'acquisto di armamenti. La spesa militare è una voce rilevante della spesa pubblica e causa del debito pubblico; è poi la voce prevalente in tempi di guerra.
Se la moneta è a corso forzoso, ossia non garantita da riserve, lo Stato ugualmente si rivolge a banchieri privati che detengono l'esclusiva legale nell'emissione di moneta oppure anticipano all'industria militare le somme dovute dallo Stato.
Numerose convenzioni, che nel loro insieme costituiscono il diritto bellico, regolamentano il comportamento in guerra. Le più importanti sono le convenzioni dell'Aja del 1899 e del 1907.
Il diritto bellico è affiancato dal diritto umanitario, volto alla protezione delle vittime di guerra. Le più importanti ed attuali convenzioni di diritto umanitario sono le convenzioni di Ginevra del 1949 ed i suoi protocolli aggiuntivi, due del 1977 ed uno del 2005.
Interpretazioni estensive del diritto umanitario hanno portato a considerare legittima l'ingerenza umanitaria, ovvero l'intervento dall'esterno in fatti interni di uno Stato quando questi fatti costituiscano violazione evidente dei diritti dell'uomo. L'ingerenza umanitaria ha giustificato nel passato interventi militari consacrati da una Risoluzioni ONU per costringere i governi a rispettare quei diritti fondamentali. Analoga ingerenza potrebbe essere autorizzata per proteggere beni culturali ritenuti patrimonio dell'umanità.
Le costituzioni di molti Stati ammettono la guerra di sola difesa, vietando alle forze militari del paese di attaccare civili, militari e infrastrutture sul suolo di un altro paese o comunque appartenenti ad un altro Stato sovrano. La costituzione italiana, con l'articolo 11, è una delle più esplicite: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.»[1]
Inoltre, lo statuto dell'ONU consente l'immediata difesa di un paese aggredito, ma vieta l'intervento degli altri Stati membri, per evitare una propagazione incontrollata del conflitto. Questo elemento contrasta con altri accordi militari come quello della NATO, che impongono solidarietà militare nel caso di attacco di uno Stato membro.