Fa parte della raccolta "Poesie"
Composto nel 1803 a Milano, dove il Foscolo si trovava in esilio, il sonetto, altrettanto bello quanto il precedente, ne accentua ulteriormente il senso di sconforto esistenziale. Anche stavolta il poeta si avvale dei temi della cultura classica. Compaiono riferimenti ad alcuni celebri versi che il poeta Catullo scrisse per commemorare la morte del proprio fratello, e la composizione risuona degli echi di Tibullo, Virgilio e Petrarca.
L'incipit che fu di Catullo («Dopo aver traversato terre e mari») assume qui l'impeto della poesia foscoliana («Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo»). Il poeta afferma di sperare un giorno di recarsi sulla tomba del fratello a piangere la sua giovinezza così bruscamente stroncata. La madre, rimasta sola e in età avanzata, ormai trascina gli anni, e il poeta la immagina impegnata in un monologo delirante, mentre parla, con il fratello morto («cenere muto») del fratello assente. Preclusa la possibilità di rientrare a Venezia, ceduta proditoriamente da Napoleone all'Austria, il poeta tende le mani, in saluto, da lontano, in volo col pensiero sopra i tetti della citta.
Una sfortuna ostinata ai tavoli da gioco, le angosce serbate nel privato e, forse per vergogna, mai condivise con alcuno, che il poeta riconosce nel tragico, improvviso gesto di Giovanni, lo inducono a pregare che il fratello possa trovare almeno in morte quella serenità che gli è stata preclusa in vita. Per quanto, di tutte le belle speranze che il poeta riponeva – in se stesso, nel futuro del fratello, nel destino politico di Venezia e nella possibilità dell'esistenza di Dio – «questo» è quanto resta: «vane parole» direbbe Catullo, il cui verso, nella traduzione di Salvatore Quasimodo, recita: «a dire vane parole alle tue ceneri mute» (*). Quando sarà il suo momento, per sé prega il poeta il popolo straniero sul cui suolo si sarà trovato a passare, di voler rendere le proprie spoglie al cordoglio della madre. Un gesto di grande umanità e, allo stesso tempo, di alta simbolicità : pietà e dolore si uniscono nell'invocazione alla comprensione tra i popoli.
I sonetto, a rima secondo lo schema ABAB ABAB CDC DCD, possiede l'allitterazione consonantica con il dominio delle consonanti t, r e d e l'allitterazione assonantica con il dominio delle vocali o ed e. Una metonimia, due sineddoche, un'ipallage, una metafora, iperbati, enjambement, un'apostrofe
Periodi sintattici in prevalenza paratattici con poche subordinate. La lexis (*) è meno complessa rispetto al sonetto A Zacinto, ma non per questo meno convincente, anzi è più pacata e più calma, sorretta dai riferimenti ai classici.
Come scrivono C. Salinari e C. Ricci a pagina 2117: «La parola moderna si fonde così con gli echi della poesia classica, dei suoi miti, delle sue immagini».
La morte del fratello, la madre anziana e sola, la condizione di esule sono sentimenti romantici che danno al sonetto un'intensità vibrante ed estrema. Questa lirica sovverte l'ideale del Winckelmann per il quale, secondo il principio per il quale il fondo del mare rimane sempre tranquillo per quante agitata possa essere la superficie, così nell'arte greca l'ideale della bellezza è specchio di un'umanità autonoma, caratterizzata da una armonica fusione di corpo e di spirito, da un nobile dominio delle passioni. In morte del fratello Giovanni mette in primo piano il tumulto delle passioni e infonde vivacità e agitazione anche alla forma che diviene essa stessa più movimentata e calda