Rosso Malpelo
Rosso Malpelo è una novella dell'opera di Giovanni Verga Vita dei campi (1880).
Questa novella, pubblicata nel 1880, è uno dei capolavori del Verismo, raccolta in Vita dei Campi di Giovanni Verga. In essa descrive la realtà di povertà e sfruttamento delle classi disagiate in Sicilia alla fine del XIX secolo, realtà che egli conosceva ma che emergeva altresì dalle inchieste del Regno d'Italia da poco formatosi (1861). Oltre questo l'opera è anche un ritratto, umanissimo e di grande attualità, di un adolescente (Rosso Malpelo), condannato dai pregiudizi e dalla violenza della gente all'emarginazione e ad una tragica fine.
Lo stile della novella [modifica]
Nonostante il principio dell'impersonalità, che caratterizza gli scrittori veristi, Verga lascia trasparire nettamente di provare pietà per Malpelo, che è un "vinto", in quanto non ha alcuna possibilità di sottrarsi al suo destino. Fa capire che i ragazzi come lui reagiscono al male che viene loro fatto infliggendo altrettanta sofferenza e cercando di reprimere i sentimenti di compassione pur di sopravvivere. Per rendere più realistico il racconto, inoltre, decide di esprimersi con parole dialettali e modi di dire popolari; per descrivere Malpelo lo paragona spesso ad una bestia. Inoltre, Verga, usa espressioni volgari, oserei dire, senza paura di provocare ribrezzo nel lettore, infatti illustra molto volgarmente tutti i maltrattamenti che Malpelo subisce. Quando il padre di Malpelo "crepa", espressione usata nella novella, sepolto dal crollo di un blocco della rena che sta scavando nella cava, lui, che segue le orme del padre fin da ragazzino, maltratta tutti i lavoratori e perfino gli asini che devono trasportare il materiale raccolto.
La trama [modifica]
Malpelo e la gente [modifica]
Malpelo era chiamato in questo modo perché aveva i capelli rossi: secondo le leggende popolari sono segno di cattiveria, quindi tutti diffidano di lui e persino sua madre dimentica il suo nome di battesimo. Non si fida del figlio, e quando torna a casa la sorella lo accoglie picchiandolo. Si vergogna anche di farlo vedere in giro. Il ragazzo è forte e sano, ma è testardo e aggressivo, e ama vendicarsi di soppiatto, prendendosi la colpa di tutto anche quando non c'entra nulla, mantenendo sempre il suo stato di fiero orgoglio e disperata rassegnazione. Lavora con il padre, Mastro Misciu Bestia, in una cava dove si estrae la rena a Monserrato. Costui è un uomo mite, che si accontenta di sgobbare al posto degli altri pur di procurarsi il pane. Lui e il figlio sono molto legati: Misciu è l'unico ad avergli mai dato affetto, e Malpelo, appena gli altri operai deridono il pover'uomo, lo difende.
La morte di Mastro Misciu Bestia [modifica]
Un giorno il padre deve terminare un lavoro preso a cottimo, per eliminare un pilastro dalla cava, malgrado sia molto pericoloso.Si diceva che solo un testardo avrebbe accettato di eseguire lavori di quel genere. La sera tardi, mentre Malpelo gli sta dando una mano, mettendo al sicuro il piccone, il fiasco del vino e quant'altro, il pilastro cade all'improvviso addosso al genitore. Quando anche l'ingegnere e Zio Mommu lo Sciancato vengono a sapere della disgrazia, è ormai troppo tardi perché sono passate tre ore e il Bestia è già morto. Nessuno invece fa caso al figlio, che inutilmente scava nella rena lacerandosi le unghie nello sforzo di salvarlo. Da allora, dice l'autore: Non volle più allontanarsi da quella galleria, e sterrava con accanimento, quasi ogni corbello di rena lo levasse di sul petto a suo padre [...] Dopo la morte del babbo pareva gli fosse entrato il diavolo in corpo... Sapendo che era Malpelo, ei s'acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile.
Ranocchio [modifica]
Dopo qualche tempo, nella cava della rena viene a lavorare un ragazzino, piccolo e cagionevole, che prima faceva il manovale, ma aveva avuto un incidente per cui si era lussato il femore. Per il modo in cui cammina, lo soprannominano Ranocchio, e immediatamente diventa oggetto di sfogo di Malpelo, che lo tormenta in cento modi: lo picchia, lo insulta, e se Ranocchio non si difende, lui continua perché con la sua crudeltà vuole che impari a reagire. In realtà però Malpelo prova pietà per lui, nonostante cerchi di nasconderla, e spesso gli dà la sua razione di cibo pur di non farlo morire di fame, oppure lo aiuta coi lavori pesanti.
Il cadavere di Misciu [modifica]
Una volta, riempiendo i corbelli, si ritrova una scarpa di Mastro Misciu Bestia, e alla notizia Malpelo si fa talmente prendere dall'ansia di scoprire anche il corpo del padre, che devono tirarlo su all'aria aperta, quasi come se stesse per morire di crepacuore. Dopodiché, va a lavorare in un altro punto della cava per non vedere altro. Infatti il cadavere viene rinvenuto, e la madre di Malpelo riesce a rimpicciolire i pantaloni e la camicia per adattarli a lui. Verga scrive: Malpelo se li lisciava sulle gambe, quei calzoni di fustagno quasi nuove, e gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli, quantunque fossero ruvide e callose. Le scarpe, poi, le teneva appese a un chiodo sul saccone, quasi fossero le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, ...e stava a guardarle... per delle ore intere, rimuginando chissà quali idee in quel cervellaccio.
L'aldilà [modifica]
Quando un asino grigio muore di stenti e il carrettiere lo getta nella sciara[1], Malpelo, avidamente curioso, trascina Ranocchio con lui a vedere i cani mangiarselo. Allora immagina che la civetta che stride sulla sciara desolata si disperi per i morti che sono sottoterra, e che non può vedere. Secondo lui, la morte è la liberazione di tutto, e per i deboli sarebbe meglio non essere mai nati. Ranocchio invece gli spiega del Paradiso, il posto dove i vivi che sono stati brave persone vanno a riposare in eterno. L'altro però non gli crede e gli dice: "Tua madre ti dice così perché, invece dei calzoni, tu dovresti portar la gonnella!" Non molto tempo più tardi Ranocchio, il quale già deperiva da un po', si ammala di tubercolosi. Non va più a lavorare nella cava, e a nulla serve la minestra calda o i calzoni di fustagno prestatigli da il Rosso, a nulla serve metterlo accanto al fuoco o pregare per lui. Il giorno della sua morte, quando Malpelo va a casa sua e vede la mamma disperarsi, non capisce il suo dolore per la perdita del figlio; crede che in famiglia le persone valgano solo per ciò che guadagnano. Quindi immagina che la donna si lamenti perché ha sempre avuto un figlio così malridotto, mentre la sua, di madre, non ha mai pianto per lui perché non ha mai avuto timore di perderlo.
Gli ultimi giorni e la fine di Malpelo. [modifica]
Un giorno viene l'ingegnere nella cava e offre di andare dove era morto Mastro Misciu Bestia perchè se avessero scavato lì si sarebbe risparmiato molto tempo e molti soldi ma sapendo che era un lavoro pericoloso tutti gli operai non ci vogliono andare ma Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Allora, nel partire, si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui. Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi.